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Quarant'anni, sono passati quarant'anni, ci siamo fatti adulti, forse anche vecchi. E Pino non c'è più, e Rino non c'è più, e Joe non c'è più. E anche tanti di quelli che stavano sotto il palco non ci sono più, chissà dov'è finita Caterina dagli occhi grandi che quella notte scintillavano ancor di più del solito e quando mi guardavano mi illuminavano di intenso.
Era il 19 settembre 1981 e il popolo di piazza del Plebiscito non era forse troppo devoto, ma San Gennaro è San Gennaro, anzi Faccia Gialla, che è anche il titolo di una canzone del Lazzaro Felice. Quella sera, quella notte, per una settimana dopo, ancora fino ad oggi, quarant'anni dopo, chi c'era si chiede come sia possibile essersi trovato al centro della tempesta sonora ed emotiva perfetta. Pino Daniele e i cinque moschettieri del neapolitan power - James Senese, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Rino Zurzolo e Joe Amoruso - all'apice della forma e dell'intesa, su un palchetto che oggi farebbe ridere un neomelodico, con le telecamere di Raidue costrette alla fuga dalla foga di una folla inattesa, almeno duecentomila persone, un canzoniere perfetto e servito caldo: «Je so pazzo» per urlare una parolaccia-esorcismo alta nel cielo, «Napule è» perché la rabbia era un groppo in gola, e tale è rimasta, «Yes I know my way» perché erano anni di certezze granitiche, poi sgretolatosi come sabbia, come un gelato all'equatore.
Si, ci capita di parlare citando i titoli delle canzoni dell'Uomo in Blues, su questo giornale lo abbiamo raccontato dal primo all'ultimo giorno, e anche dopo, e oggi andremo a vedere la mostra che il figlio Alex, e Guido Harari, e Davide De Blasio, gli dedicano nel cuore della sua Napoli, da Made in Cloister.
E alle ore 19 del 19 settembre di quarant'anni dopo, sul Mattino.it ricorderemo questo ed altro con note ed immagini: James, Tullio e Toni ci saranno, ma anche Enzo Avitabile, e anche Mario Biondi, e anche Nello Daniele, e anche Nino D'Angelo, e anche Nino Buonocore, e anche Toni Bungaro, e anche Dolcenera, e anche Paolo Fresu, e persino il gigante del jazz Archie Shepp. Con video registrati apposta o frutto di serate speciali, abbiamo ricostruito la scaletta di quella notte di note, da «A me me piace o blues» ai bis. E abbiamo chiesto a Massimo Ranieri, a Renzo Arbore, ad Alessandro Siani, a Roberto Vecchioni, a Clementino, di parlarci ancora, come sanno fare loro, del Pino della nuova Napoli, che è tornato tante volte in quella piazza, nella sua piazza, l'ultima volta per un funerale di popolo richiesto, a gran voce, dal suo popolo. Quella notte, come il 19 settembre 1981, Napoli mostrò la sua faccia migliore. Silenziosa, perplessa e attonito, afona, orfana. Domenica, con il ragù a tavola, o con qualsiasi altra prelibatezza vi piaccia trattarvi bene, saranno passati quarant'anni dal più grande concerto napoletano di tutti i tempi. «Il Mattino» lo racconterà come merita: su carta, sul web. Che a quel tempo non esisteva nemmeno.
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