Quando Pino Daniele si faceva chiamare Alex Thoromp

Quando Pino Daniele si faceva chiamare Alex Thoromp
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Cofanetti, libri, documentari, speciali televisivi stanno esplorando il pianeta Pino Daniele con l’attenzione, ma anche l’affetto, che il suo popolo pretende. Non sempre, è chiaro, si aggiunge qualcosa di inedito a quanto già sapevamo, ma ci sono le nuove generazioni a cui raccontare il Nero a Metà, e, poi, anche da piccoli particolari apparentemente insignificanti possono uscire fuori chiavi di lettura preziose.

Claudio Poggi è stato il primo produttore discografico del cantautore, l’uomo che gli ha fatto firmare il primo contratto discografico, il talent scout che ha creduto in lui, il giovane alla ricerca di una nuova musica che visto nascere «Terra mia». E Terra mia si intitola il libro che ha scritto con Daniele Sanzone, voce degli ‘A67, per minimum Fax da oggi in libreria (pagine113, euro 16, prefazione di Gino Castaldo).
Il tono della narrazione, di cui riproduciamo accanto i passi iniziali, è quello del testimone oculare, di chi c’era e sa che quegli anni sono stati davvero formidabili, anzi di quell’anno, che di un solo anni si trattò per Poggi. Senza pettegolezzi, senza colorire troppo il tono, anzi con stile piano, vediamo crescere Pinotto sino a diventare Pino, sino a litigare con il produttore per una divergenza su una campagna promozionale, su strategie di lancio. I due erano giovani e capatosta, un diverbio divenne una rottura.

In mezzo c’è la firma con la Emi, la rinuncia a lavorare in Alitalia, i compagni di creatività che faranno la stagione del neapolitan power. Vicende note, viste con angolazioni diverse, spesso. In mezzo ci sono «Terra mia» e «Napule è», miracoli di un Lazzaro Felice illuminato dal ventre delle città. Ma ci sono anche canzoni e storie inedite: «’Na voglia ’e jastemmà», che fu escluso dall’lp d’esordio e pubblicato solo postumo nel cofanetto «Tracce di libertà»: troppo forte per l’epoca; due pezzi registrati con lo pseudonimo (non casuale) di Alex Thoromp, da una versione di «’Na sera ’e maggio» con la chitarra elettrica che riproduceva la linea di canto in stile a Santana a «Cooking chicken», funkettone ironico alla Average White Band; due brani scritti sperando li potesse incidere Mina, «Donna sono donna» e «Io che non mi arrendo mai», dai testi non proprio esaltanti, registrati con la voce di Donatella Brighel: alla Mazzini non arrivarono mai, «ma quei primi esperimenti non erano così malvagi e comunque servirono a Pino per iniziare a prendere dimestichezza con la lingua italiana, con cui poi avrebbe scritto tantissimi capolavori», scrive Poggi. E ogni fans pinodanieliano spera di poterli ascoltare, prima o poi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino