Il successo di Da Vinci, italiano di Napoli

successo «senza se e senza ma» riscosso al debutto all’Augusteo, e la lista di sold out in prevendita che si allunga giorno dopo giorno, non raccontano tutto di...

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successo «senza se e senza ma» riscosso al debutto all’Augusteo, e la lista di sold out in prevendita che si allunga giorno dopo giorno, non raccontano tutto di «Italiano di Napoli», il nuovo show di Sal Da Vinci, che l’ha prodotto e scritto con l’amico Alessandro Siani, a cui ha affidato anche la regia.

Rispetto ai suoi spettacoli precedenti - «Io + Voi = Noi/Il mercante di stelle», «È così che giro il mondo», «Se amore è...» e «Stelle a metà» - il cantattore verace ha fatto un doppio salto mortale facendo sfoggio di una nostalgia elevata a valore culturale e morale e, nello stesso tempo, puntando su uno spettacolo più asciutto e compiutamente moderno: nel cast, nelle coreografie di Marcello e Momo Sacchetta, nel disegno luci di Francesco Adinolfi, nelle scene di Roberto Crea. La trama, esile quanto necessario in simili occasioni, lo vede al centro di una fabbrica chiusa, quella dei sogni, metafora di un’Italia che deve destarsi rappresentata dal sex appeal di Lorena Cacciatore, a suo agio nel ruolo (canto a parte, ma forse era l’emozione del debutto) e presenza più che indovinata, come quella di Davide Marotta, diavoletto-coscienza napulegna, che si scatena tra gag a presa rapida. Lello Radice è ormai l’attore feticcio di Sal, che lo usa volentieri come spalla, questa volta nel ruolo del custode deluso del sognificio nazionale.

Il titolo, con qualche punta di retorica, eccesso di buoni sentimenti e di indignazione, sottolinea anche la volontà nazionalpopolare di un artista dalla straordinaria vocalità: scura, densa, figlia della tradizione, ma anche di una profonda consapevolezza contemporanea. Se i brani dell’album «Non si fanno prigionieri», scritto in gran parte con Renato Zero, sono troppo freschi di uscita e i suoi hit personali giocano troppo in casa, nelle riletture di «Più su» (Zero), «Io vivrò» (Battisti) e «Se telefonando» (Mina) come di una caraibica «’E spingule frangese» e di una rockettara «Comme facette mammeta», Da Vinci fa sfoggio di una vocalità straripante, tra acuti stentoreii, bassi improvvisi, falsetti, note lunghe, respiri, antiche «vutate» spostate sui registri di un pop fieramente melodico. Non a caso Siani, fortemente in sintonia con l’operazione, lascia il protagonista quasi al buio nel duetto virtuale con il padre Mario sulle note di «Preghiera ‘e na mamma», brano vincente al Festival di Napoli del 1969 con le ugole di Aurelio Fierro e Mirna Doris. L’inattualità - per testo, contenuto, sound, imprinting vocale - del pezzo potrebbe rallentare la corsa dello show, ma, invece, servito come omaggio filiale da un autentico padrone del palcoscenico (Sal ha debuttato ormai quarant’anni fa, a sei anni e mezzo), porta a casa una standing ovation.
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Il Mattino