In un taschino i cartellini, nell’altro il Vangelo. Debutto assoluto all’ombra del Cupolone per il primo arbitro sacerdote, che dirigerà l’open match tra...
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«Vogliamo che anche fuori dal campo, chi partecipa a questo torneo possa in futuro regalare nei loro paesi, momenti di gioco e fratellanza, valorizzando l’aspetto sportivo, dando la possibilità a tutti di gioire e crescere» ha dichiarato Vittorio Bosio, presidente del CSI. Spiega le finalità della manifestazione don Alessio Albertini, fratello di Demetrio, plurititolato campione del Milan. «Lo sport dovrebbe aiutare tutti noi a rispettare la diversità dei talenti, a capire che sotto la maglia di un atleta si trova anzitutto una persona. Ecco il senso dell’inno Csi “Dove ogni maglia ha un’anima!”. Non sempre accade così. Oggi per tanti la cosa più importante nella vita (e nello sport) è vincere. Sull’altare della dea Vittoria si sacrifica tutto. Tante volte anche l’anima, la dignità, la bellezza dell’incontro». Vola alto il consulente ecclesiastico nazionale del CSI. «I numeri di maglia dei giocatori identificano un atleta in campo ma sono insufficienti per identificare il valore di una persona. Una persona è molto di più del numero che indossa. È una storia unica e irripetibile, che si mette in gioco attraverso un ruolo. Allora davvero ogni maglia si riempie di un’anima». Al fianco della Clericus Cup si chiera in modo convinto monsignor Melchor Sanchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura, appena tornato da PyeongChang, dove per la prima volta il Comitato Olimpico Internazionale ha invitato una delegazione vaticana. Sabato 26 maggio finali al Centro Sportivo Pio XI tra penitenza ed esultanza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino