Oggi la prendono con il sorriso. «Mister hai visto? Ti ho fatto diventare famoso». Ma il primo maggio dello scorso anno, nello spogliatoio del Pontisola, da ridere...
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Rewind. Nastro indietro al primo maggio 2018. Torneo giovanile nel bergamasco. In campo ci sono il Pontisola allenato da Igor Trocchia e il Rozzano. Al termine della partita, Yassine, bambino di colore che gioca nel Pontisola, ha litigato con un avversario. L'allenatore gli chiede conto e ragione. Yassine, molto turbato risponde: «Mi ha chiamato negro di merda». Igor non ci pensa un minuto. Va a chiedere spiegazioni al collega della squadra avversaria il quale invece di preoccuparsi della vicenda, minimizza. Allora chiama a raccolta il resto della squadra e di comune accordo decide di ritirare il Pontisola dal torneo. La notizia ci mette pochissimo a fare il giro d'Italia e del web. «Non volevo criminalizzare il ragazzino, ma volevo dare un segnale a tutto l'ambiente», spiega Igor. «Mi sarei aspettato una telefonata dal presidente dalla società avversaria, ma niente».
Il fatto è troppo grosso per Trocchia, perché lui ci è passato in prima persona. «Sono nato a Napoli, a Ponticelli. Ma a 12 anni la mia famiglia si è trasferita a Bergamo. Quando sono arrivato a scuola ero l'unico terrone». Sì, lo dice proprio così: senza farsi alcun genere di problema. «Tutti mi prendevano in giro perché avevo un accento strano. Ma ero talmente orgoglioso che non dicevo niente ai miei genitori». A distanza di anni, anche oggi che la sua attività principale è quella di venditore ambulante titolare di una rosticceria che ha anche tre dipendenti in regola, Igor Trocchia allena gli esordienti del Pontisola in provincia di Bergamo. «Quando ho iniziato ad allenare 5 anni fa, vedevo negli occhi di questi ragazzini la voglia di divertirsi. Allora ho capito che non potevo allenare solo tecnica e tattica e mi sono appassionato alla pedagogia. Quando ci metti anche la psicologia, il lato affettivo ed emotivo diventa un'altra cosa».
Napoletano e tifoso del Napoli, era a San Siro anche nella maledetta serata del 26 dicembre scorso, quando Koulibaly è stato vittima dei cori razzisti da parte di tutto lo stadio. «La cosa brutta era vedere tutta la gente ascoltare quelle oscenità e ritenerle normali. Nessuno fischiava». Quando Ancelotti, che dopo quella partita ha definitivamente esternato tutto il suo disprezzo per questi atteggiamenti razzisti, è venuto al corrente della storia di Igor, lo ha contattato. «Mi ha invitato a Castel Volturno perché mi vuole conoscere. Per me è un esempio non solo come allenatore ma anche come uomo, perché è stato l'unico a lottare in prima persona contro questa piaga». Quando arriverà nel centro sportivo del Napoli, verosimilmente incontrerà anche Koulibaly, mentre il prossimo 5 marzo sarà insignito a Roma dal Presidente Mattarella con il titolo di Cavaliere della Repubblica. «Quando me lo hanno comunicato al telefono pensavo fosse uno scherzo». Quel giorno sarà accompagnato dalla prima delle sue due figlie. «Federica ha 17 anni ed è quasi più emozionata di me». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino