«Inter-Juve: il file di Orsato sparì», l'accusa dell'ex procuratore Figc

«Inter-Juve: il file di Orsato sparì», l'accusa dell'ex procuratore Figc
È stato a capo della Procura federale dall'agosto del 2016 fino allo scorso dicembre. Quando si è dimesso all'improvviso. Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma...

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È stato a capo della Procura federale dall'agosto del 2016 fino allo scorso dicembre. Quando si è dimesso all'improvviso. Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma dal 2008 fino al 2015, parla per la prima volta del suo addio e degli anni alla guida della Procura.


Prefetto Pecoraro, come è gestito il calcio in questo momento?
«C'è confusione, non è semplice. Ma da quel che leggo, il protocollo non va predisposto dalla Figc né dal suo comitato tecnico-scientifico ma va predisposto da chi le regole le detta, ovvero dal governo. Come si possono dettare le norme per se stessi? E poi va anche regolamentato il trasferimento della squadra da una città all'altra».

E le squadre che devono fare?
«Applicare il protocollo con la Figc garante verso il governo della sua applicazione e nel contempo anche controllore, sanzionando anche duramente chi dovesse fare di testa sua».

Prefetto, perché si è dimesso l'11 dicembre?
«C'erano ormai visioni differenti tra me e la Federazione. Era una questione di coerenza e di rispetto nei confronti dei miei colleghi della Procura, non potevo andare avanti in quel clima».

Il motivo è stata la sostituzione dei suoi vice?
«Non potevo accettarlo. Né come segnale né come gesto. Non l'ho interpretata come una sfiducia nei miei confronti, ma al lavoro fatto dalla Procura nel suo complesso fino a quel momento sì. Anche perché mancavano appena sei mesi alla fine del mandato».

Un messaggio per lei, dunque.
«Il rapporto fiduciario è tra il capo dell'ufficio e i suoi vice. E quindi tra il capo della Federazione e il capo della Procura. Facendo riferimento al mondo a cui ho appartenuto per decenni, nel 1994 l'allora capo della Polizia Parisi si dimise anche perché gli avevano nominato dei vice diversi da quelli che aveva indicato lui. Per carità, erano figure straordinarie. Ma lui interpretò quel gesto come un venir meno del rapporto di fiducia con il governo. La stessa cosa che è successa a me in Procura».

Poteva sorvolare, proprio perché mancavano sei mesi?
«Quando nel 2007 avevo l'incarico di capo dipartimento dei Vigili del fuoco, dissi al ministro Amato che avrei dovuto indicare io il mio vice. Gli spiegai che fidarsi di me significava farmelo scegliere. E lui accettò il principio perché esisteva tra di noi un rapporto fiduciario».

Senza girarci intorno, è stato un modo per mettere le mani sulla Procura?
«L'impressione è quella. Certo. Fermo restando che parliamo di professionisti degnissimi di occupare quel posto. Ma è impensabile che un vice venga scelto senza chiedere e condividerlo con il capo dell'ufficio».

Perché la Figc ha avvertito questa necessità?
«Il pretesto era che la Procura dovesse essere formata da soli cinque vice e non da dieci...».

Perché parla di pretesto se c'era una norma?
«Certo, ma l'errore, se possiamo parlare di errore, era stato fatto tre anni e mezzo prima e anche Gravina c'era e aveva partecipato a quell'elezione. A me è sembrato assurdo voler correggere quell'errore commesso a così pochi mesi dalla scadenza naturale. E in ogni caso si può anche ridurre da 10 a 5 ma, se si vuole continuare a dare fiducia al lavoro della Procura, i cinque dovevano essere scelti tra quelli che c'erano prima. E con me».

Ma lei ha avuto pressioni per qualche procedimento?
«Scontri diretti con Gravina o altri mai. Probabilmente la mia visione della Procura era divenuta diversa dalla loro».

Perché la sua visione qual è?
«Con Tavecchio e con Fabbricini puntavamo al controllo dei bilanci, delle plusvalenze e della scommesse. Il sistema calcio va rifondato da qui. Sapevo bene che il sistema plusvalenza è una bolla pericolosa, che regge il sistema in maniera viziata. Volevo approfondire, fare accertamenti. La Federazione, e in particolare proprio Gravina, avevano pensato di creare una commissione conoscitiva per la verifica dei bilanci, con un presidente già individuato, ma poi tutto è sfumato. E non so perché. Palermo, Foggia, Bari hanno portato alla luce situazioni gravi di bilancio: se si interviene prima si evitano delusioni dei tifosi, false aspettative, il caos».

E sulle scommesse?
«Sapevamo di flussi anomali, ma senza avere i nomi degli scommettitori. Nella commissione presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza che si occupa di scommesse c'è il rappresentate della Federazione ma non della Procura. E più volte ho chiesto la partecipazione anche della Procura dal momento che nessuno ci riferiva di quello che succedeva in quella commissione. Sono tanti anche i calciatori che scommettono, ma non abbiamo le prove. Dovevamo fare accertamenti, perché mica i tesserati scommettono con i propri nomi. Il Coni si è adoperato per darci una mano, abbiamo scritto all'Agenzia dei Monopoli ma loro ci hanno risposto che i nomi degli scommettitori non si possono dare perché c'è la privacy. E questo sempre in solitudine, senza che in Procura sia stato avvertito il sostegno della Figc».

Gli audio di Miccichè e De Siervo in Lega?
«Non hanno avuto alcun peso».

Non ha sentito il fiato sul collo per nessuna inchiesta?
«Su di me mai, su qualche mio vice ogni tanto... Ma pressioni vere solo dai media come nel procedimento sui rapporti tra alcuni dirigenti della Juve e il mondo degli ultrà o quella del Palermo per false comunicazioni sociali. Perché i media riflettevano l'animo di grandi tifoserie. Ma ciò non ci ha mai né infastidito né influenzato nel nostro lavoro».

Gravina poteva fare di più per non farla dimettere?
«Sinceramente ero anche stanco. Anche perché alcune cose non mi erano piaciute».

Quali?
«La mancata interruzione del gioco di Inter-Napoli e la difesa d'ufficio dell'arbitro Mazzoleni non le ho mai mandate giù. Intervenni duramente. E non c'entra nulla che sono tifoso del Napoli. Il razzismo e la discriminazione territoriale sono una cosa insopportabile. Per me il gioco andava interrotto anche quella sera, come da quel momento in poi è successo. Ma Mazzoleni disse che non aveva sentito nulla, mentre i miei ispettori a bordo campo stranamente avevano sentito tutto e pure riferito. Era un momento strano. Gli incidenti fuori dallo stadio, il clima all'interno di San Siro: mi aspettavo una reazione forte da parte dell'arbitro, cosa che è avvenuta giustamente qualche tempo dopo da parte di Rocchi in Roma-Napoli».

Torniamo alle visioni diverse, dunque?
«Io non riesco a capire come gli arbitri, che per me sono come un giudice, come un tribunale, al di sopra delle parti, facciano parte del Consiglio federale e quindi del potere esecutivo. Se ci sono loro, ci stiano anche i medici sportivi e via dicendo».

Da come parla, sembra uno che poteva anche andare via prima di dicembre.
«Ci sono stati momenti complicati, ma è stata la direzione di Orsato in Inter-Juventus che mi ha portato ad avere delle tensioni con il mondo arbitrale. Avevo avuto degli esposti, sottoscritti, di associazioni, tifosi, organizzazioni sul suo operato e per non sbagliare chiesi anche ai miei vice se era il caso di aprire o no un procedimento. Io non credo che avremmo trovato prove di malafede e chiesi all'Aia prima e poi alla Lega, ai soli fini conoscitivi, i dialoghi audio-video tra Var e arbitro di quella partita. Insistetti: fateceli consultare, altrimenti che Procura federale siamo? Ce li diedero solo a inizio del campionato successivo. Ma lì ci fu la sorpresa».

Quale?
«Apriamo il file e l'unico episodio in cui non c'è audio registrato era l'unico che ci importava: quello tra Orsato e il Var che aveva portato alla mancata espulsione di Pjanic. C'erano i colloqui di tutto tranne che di quello».

Chiese il motivo?
«Subito. Mi dissero che non c'era e basta. Io sono certo che non ci sia stato dolo, ma ero obbligato a procedere, anche perché dovevo dare delle risposte a quegli esposti. Alla fine ho archiviato. Ed è per questo che c'è bisogno di maggiore trasparenza».

Cosa pensa degli arbitri?
«Sono bravissimi tecnicamente ma non tutti sono in grado di sopportare le pressioni di una partita allo stesso modo».

Pericoloso il braccio di ferro tra Figc e Coni?

«Il Coni giustifica gli sport che hanno già deciso di non dover andare avanti. Ed è giusto. Ma, ripeto, inutile arrabbiarsi con il calcio: non sono i medici che devono chiudere gli stadi, ma il governo».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino