Ancelotti e la missione Italia: «Ma voglio conoscere il progetto»

Ancelotti e la missione Italia: «Ma voglio conoscere il progetto»
Inviato a Roma C'era un fantasma seduto al fianco di Carletto Tavecchio. Un altro Carletto, il suo asso nella manica, la sua arma segreta, una sorta di V7 che dovrebbe...

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Inviato a Roma

C'era un fantasma seduto al fianco di Carletto Tavecchio. Un altro Carletto, il suo asso nella manica, la sua arma segreta, una sorta di V7 che dovrebbe ribaltare le sorti di tutto: Carlo Ancelotti. In giornata il presidente della Federazione lo ha sentito per capire se era vero che il suo eventuale sì fosse legato al suo addio. «No, voglio però capire il progetto», la risposta del tecnico che ha vinto in mezza Europa prima di ritrovarsi senza panchina dopo l'esonero di settembre da parte del Bayern Monaco. Ed è per questo che Tavecchio, incassato una sorta di via libera a trattare, ha deciso di restare. Apparentemente come un giapponese in trincea. Con un'unica grande differenza: per lui la guerra non è mai esistita.


«Pensiamo ad allenatori importanti». Un modo per chiudere con violenza con Ventura, un modo per dire che forse quello di prima non lo era. Come se fosse stato calato dal cielo, il povero Giampiero ormai abbandonato da tutti. Ora Tavecchio punta dritto su Carlo Ancelotti: vuole il tecnico emiliano alla guida della Nazionale. Tavecchio lo ha fatto capire con chiarezza parlando con i suoi più vicini collaboratori. Un modo per ottenere una condivisione sul nome del nuovo commissario tecnico.

Al contrario di quello che ha fatto con Ventura. E ad Ancelotti chi direbbe di no? Bisogna ripartire da un uomo di esperienza e vincente, questo il concetto dell'attuale presidente, spalleggiato nell'idea in particolare da Ulivieri. Con un altro ct, in caso di prima sconfitta, sarebbero subito nuove tragedie. Con Ancelotti, Tavecchio rischia meno. Anzi non rischia nulla. Il tecnico sarà una specie di re taumaturgo, quello di cui ora tutti hanno bisogno. Si perde? C'è Ancelotti. Nevica? C'è Carletto. Si è fulminata una lampadina? C'è Ancelotti. Dovrà ridare immagine, anima, sostanza e gioco a una Nazionale rimpicciolita e pavida, dovrà galvanizzarla, rifondarla. E vuole carta bianca perché dovrà inciderla come coltello nella corteccia.

Ancelotti è un nome di prestigio che metterebbe tutti d'accordo: con l'unica incognita che è quella dell'ingaggio, che dovrà essere quanto meno simile allo stipendio di Antonio Conte (almeno 4 milioni di euro all'anno, sponsor più, sponsor meno). Ad Ancelotti l'idea di fare il salvatore della Patria non dispiace. È una vita che fa il profeta altrove, è dal 2009 che non allena in Italia e che fa il girovago a suon di milioni di euro e di trofei conquistati.
 
Tavecchio vuole recuperare tecnici della cantera azzurra mentre Ancelotti avrebbe chiesto anche la supervisione di tutte le Nazionali giovanili. Non solo: come condizione spinge per essere affiancato da un grande ex del passato e il suo preferito è Paolo Maldini che ha avuto al Milan per 6 anni come compagno di squadra (dal 1987 al 1992) e per altri otto come suo capitano (dal 2001 al 2009). Ma ci sono anche altre ex stelle: Andrea Pirlo, per esempio.

Difficile che l'annuncio possa già arrivare il 20 novembre, data in cui Tavecchio pensa di ottenere la fiducia (a questo punto assai scontata) e successivamente una deroga alla spending review: bisogna infatti quanto meno triplicare gli 1,4 milioni di euro di Ventura. Ancelotti sarebbe il nome per cercare di fermare il dissenso che c'è nei confronti di Tavecchio (e di tutta la Federazione), convinto di essere assediato dai nemici come se fosse esente da colpe e da responsabilità.

È vero che non c'è fretta, è vero che prima di marzo non ci sono gare in programma e che quindi c'è tutto il tempo per trovare l'uomo più adatto a ricostruire qualcosa di decente da queste macerie, ma Tavecchio deve urgentemente trovare un nome che riesca a far cessare la contestazione che lo travolge. Non solo Ancelotti, con cui probabilmente tornerà a parlare già oggi, ma anche Roberto Mancini e Claudio Ranieri sono in corsa per quel posto sulla panchina dell'Italia. Due nomi che nell'immaginario collettivo vengono dietro a quello di Ancelotti, che è reduce da una quindicina d'anni ai massimi livelli mondiali e 17 trofei conquistati in quattro paesi diversi, tra cui tre Champions League.

Insomma, a Tavecchio deve riuscire il colpo ad effetto. Esattamente come fece Alberto Sordi, presidente del Borgorosso che invece della sua testa consegnò ai tifosi l'ingaggio di Omar Sivori. D'altronde, siamo davvero alla vigilia non di una nuova epoca calcistica, ma di una nuova era geologica. Questo è il momento più basso del nostro calcio dal 1966, quando la Corea del Nord ci denudò in Inghilterra con il gol di un sedicente dentista. Siamo a pezzi. Con pochi grandi giocatori, inondati di stranieri anche superflui, con i club che sono d'accordo solo quando ci sono da ripartire i soldi delle tv. Eppure, c'è un uomo della speranza al quale tutti si aggrappano, e quest'uomo si chiama Carlo Ancelotti.


Tavecchio lo sa, lo ha capito. Perché fiuta l'aria. Anche De Laurentiis ha chiesto le sue dimissioni e il numero uno del Napoli è rimasto sicuramente sorpreso dalla sua decisione di non farla. Presto dovrà fare i conti con i club: la mancata partecipazione al Mondiale non va giù neppure alla Lega. Ah, già. Ma è commissariata. E il commissario è proprio Tavecchio.
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Il Mattino