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Lozano o il passo dell'inganno. Il messicano entra, finta, dribbla, dice ad Elmas che deve battere il rigore, lo batte, lo segna, poi altra finta e fa espellere Luperto, e dopo manda Parisi a vuoto e trova il traversone perfetto per far tornare Zielinski al gol. Una partita in pochi gesti e minuti, tanto che il suo ingresso in campo sembra l'inizio di Natural Born Killers di Oliver Stone: trama intensa, velocità e risultato.
A Bergamo, Lozano, era apparso con la testa al Mondiale, molto distante, piede tirato, finte fioche, invece contro l'Empoli ha cambiato la partita, dopo che la squadra di Zanetti era attaccata a quella di Spalletti come una gomma da masticare, sembrava impossibile staccarsi e segnare. Ma i movimenti a rientrare di Osimhen che Marin atterra, regalano la possibilità di staccarsi. Lozano pretende con tirannica dolcezza il pallone, va dagli undici metri, calcia ad incrociare, Vicario la tocca ma non può prenderla perché il tiro è forte, come il Napoli che gli sta dietro e il Maradona che soffre intorno. Da lì, la partita di Lozano che regola l'Empoli. Si vede la polvere del deserto messicano uscire dai suoi piedi e finire negli occhi di chi prova a fermarlo, prenderlo, togliergli il pallone: ne fanno le spese prima Luperto che lascia il campo spinto dal cartellino rosso e poi Parisi, ingannato da un fai finta di andare non vai poi vai del messicano tra Rocky Roberts e Don Lurio. Va in fuga, fa scomparire il pallone, e apre praterie sulla fascia destra, sempre col tempo dell'inganno, un tempo sconnesso rispetto al presente, solo Lavezzi riusciva a farlo, con una scomposizione maggiore dei gesti. Quello che sembra un difetto è un grande dono, perché permette di aver una possibilità non vista, e in quello che sembra l'errore c'è la soluzione.
Prendere o lasciare. Ovviamente prendere, e sperare. La sua partita è una avvitata composta tensione di tira e molla corpo-tempo-pallone. Solo la sua capacità da Houdini dribblomane potevano rompere l'oscura trama dell'Empoli, e ci riesce. Il resto è palleggio, col sorriso dell'impresa riuscita, del momento colto, in dissonanza, s'intende. Lozano non corre, sguazza, non dribbla ma raggira, non palleggia ma avvita, una catena di montaggio di piccole follie, che quando riescono lo mettono al riparo dalla normalità del calcio. Un continuo tumulto col pallone o senza, a volte con l'accordo dei compagni a volte senza. Un eretico, che finta sul dischetto del rigore.
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