Avellino: Nuovo Clan Partenio, confermate le accuse della Dda

Terminato il processo, per Freda e Galdieri niente 416 bis

Il tribunale di Avellino
Il tribunale di Avellino
di Alessandra Montalbetti
Mercoledì 12 Luglio 2023, 09:38
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Processo sul Nuovo Clan Partenio: riconosciuta l'esistenza del sodalizio criminale. A decretarlo, al termine di una lunga camera di consiglio, il tribunale di Avellino, presieduto dal giudice Gianpiero Scarlato, a latere Giulio Argenio Loreno Corona, che ha inflitto ai 21 imputati complessivamente 3 secoli di carcere. Ha retto, dunque, nel primo grado di giudizio, l'intero impianto accusatorio contestato dalla procura distrettuale antimafia di Napoli, ai 21 imputati accusati di associazione di stampo camorristico, tentata estorsione e usura. Riconosciuta infine l'esistenza di un'organizzazione armata i cui promotori sono stati identificati nei fratelli Pasquale e Nicola Galdieri, Carlo Dello Russo e Carmine Valente. Condanne quelle inflitte, comunque leggermente a ribasso rispetto alle pene richieste dai pubblici ministeri, Simona Rossi e John Woodcock della Dda di Napoli, che avevano chiesto complessivamente 400 anni di carcere per gli imputati.

Il tribunale di Avellino ha assolto Renato Freda e Nicola Galdieri dal reato di intestazione fittizia dei beni, ed ha escluso per tutti l'illecito reimpiego di risorse economiche riconducibili al clan (decaduta l'aggravante del 416 bis comma 6). Ad avviso dei giudici del tribunale di Avellino Nicola Galdieri e Renato Freda non hanno riciclato i proventi nelle due attività commerciali che facevano loro capo (la Ni.Re e la Gal. Fre) e sono stati assolti dalla singola accusa di intestazione fittizia di beni. Pasquale Galdieri, fratello di Nicola, ritenuto il capo del sodalizio criminale, è stato condannato a 25 anni di reclusione, cinque in meno di quelli richiesti dall'accusa, la pena più alta comminata dai giudici del tribunale di Avellino. Le ultime udienze del processo sono state caratterizzate da dure schermaglie tra accusa e difese sulla natura camorristica dell'associazione. Infatti i difensori degli imputati hanno insistito molto nelle loro discussioni svoltesi nelle ultime udienze sull'assenza di violenza nelle condotte dei loro assistiti e dunque - a loro avviso - non vi era la sussistenza del metodo mafioso.

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Il processo, partito il 6 ottobre del 2020 nell'aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale, dopo 68 udienze è stato trasferito solo lo scorso gennaio nell'aula di Corte d'Assise del tribunale irpino. Una sentenza letta dopo cinque ore di camera di consiglio e tra un massiccio schieramento di forze dell'ordine sia in borghese che in divisa che hanno presidiato l'accesso alla Corte di Assise del tribunale di Avellino. Presente alla lettura del dispositivo anche il pubblico ministero Simona Rossi che stamane ha rinunciato alle repliche dopo le discussioni dei difensori, consentendo ai giudici del tribunale di Avellino di entrare alle 10.30 di ieri mattina in camera di consiglio. Tra 90 giorni verranno depositate le motivazioni, intanto i legali impegnati nelle difese dei 21 imputati, preannunciano di far ricorso davanti ai giudici della Corte di Appello di Napoli.

Dopo la lettura del dispositivo è arrivato anche il commento dell'avvocato Alberico Villani, difensore di Ernesto (il boss dell'Alta Irpinia) e sua sorella Giuseppina Nigro: «È una sentenza con condanne molto severe rispetto ai capi d'imputazione contestati dalla pubblica accusa».

I giudici del tribunale di Avellino hanno riconosciuto non solo la sussistenza dell'associazione camorristica ma anche le responsabilità in capo a tutti gli imputati, infatti ha condannato tutti. Inoltre ha accolto quasi completamente le richieste del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Napoli avanzate lo scorso 18 maggio. «Attendiamo le motivazioni - dice Villani- e impugneremo la sentenza emessa in primo grado, ma vogliamo prima comprendere le ragioni che hanno indotto il collegio ad affermare la penale responsabilità per tutti e 21 gli imputati». 

 

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