In dieci anni sono spariti 150 negozi del capoluogo La Stella: «Colpa degli Iper»

Vince la grande distribuzione, desertificato il centro

Negozi chiusi in centro
Negozi chiusi in centro
di Alberto Nigro
Mercoledì 1 Marzo 2023, 08:11
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Sono 151 le attività commerciali che hanno chiuso i battenti ad Avellino negli ultimi 10 anni. È questo il dato emerso dallo studio effettuato da Confcommercio Campania sulla demografia d'impresa. Uno studio che, con l'eccezione del capoluogo, Napoli, fa registrare cali, anche sensibili, in tutte le province campane. Il periodo di riferimento è il decennio che va dal 2012 al 2022. Nella provincia di Avellino, in quest'arco di tempo, si è passati da 862 negozi attivi a 711, ma la situazione è critica già dagli anni 90.

«Il trend -afferma il presidente irpino di Confcommercio, Oreste La Stella- è lo stesso da moltissimo tempo. Sono anni che denunciamo una vera e propria desertificazione commerciale del territorio che, probabilmente, risulta meno evidente in strade principali del capoluogo come corso Vittorio Emanuele, dove le attività che chiudono lasciano il posto alle nuove».

La cessazione delle attività, in molti casi, ha rappresentato la fine di interi capitoli di storia della città. Per restare alle ultime settimane, hanno chiuso i battenti lo storico ristorante « Barone», in corso Umberto (nella foto), e lo storico fruttivendolo di piazza Kennedy. Ma a fare un giro, anche solo con la memoria, nel capoluogo si nota immediatamente l'assenza di esercizi importanti come Muscetta, in via Luigi Amabile, e il bar Diana lungo il Corso. E poi, marchi storici legati all'abbigliamento, tutti nel centro, come Passaro, Nazzaro, Silvestro e Aurigemma, ma anche bar, trattorie e minimarket come il bar Dallas nei pressi della caserma Berardi, la pizzeria Italia a Viale Italia e Minocchia in via degli Imbimbo.
«I problemi -sottolinea La Stella- sono sorti principalmente tra la fine degli anni 90 e l'inizio dei 2000, quando a livello regionale è stata adottata una politica che dava troppo spazio alla grande distribuzione e ai centri commerciali».

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Sul punto, La Stella è chiaro: «Noi non ci siamo mai opposti all'apertura di questi centri, ma abbiamo chiesto una razionalizzazione perché ritenevamo che dovessero essere proporzionati al territorio».
Seguendo quella strada, chiarisce l'esponente di Confcommercio, «prima sono state distrutte tante piccole attività, ed oggi ci si ritrova a fare i conti anche con la crisi della grande distribuzione».

La condizione che si vive in Irpinia è particolarmente preoccupante. «La chiusura delle piccole attività -spiega- produce innanzitutto una perdita del potere economico e, in secondo luogo, l'aumento della disoccupazione».
«Sinceramente -prosegue- non si sa che fine abbiano fatto i titolari e i dipendenti di tutti questi esercizi.

Quelli che potevano andare in pensione ci sono andati, ma chi non era in età pensionabile?».

In alcuni casi, evidenzia La Stella, «si è finiti addirittura a vivere con il reddito di cittadinanza». A dare il colpo di grazia ad un settore già in crisi, il Covid. Le attività più solide, grazie anche agli aiuti statali, sono riuscite a sopravvivere, ma decine di piccole e nuove attività hanno dovuto chiudere inesorabilmente i battenti. «Il Covid -aggiunge La Stella- ha fatto crescere esponenzialmente il commercio elettronico. Anche su questo, è necessario fare un po' di chiarezza. Le attività classiche, infatti, seguono determinate regole fiscali, quelle elettroniche no. Non dico che si possa parlare di concorrenza sleale, ma di regole diverse, sicuramente sì». Adesso, però, bisogna guardare avanti per provare quanto meno ad arginare il fenomeno che appare preoccupante e incide non solo sull'economia ma anche sulle necessità dei cittadini dei piccoli centri ad esempio.
«Già alla fine degli anni 90 -sottolinea La Stella- si parlava di centri commerciali naturali, dove le piccole attività potevano essere gestite con le stesse politiche della grande distribuzione. Purtroppo, allora non furono sostenuti da interventi finanziari strutturali, ma oggi, puntando sui distretti commerciali, potremmo avere una possibilità, almeno di porre un freno alla desertificazione».
 

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