Coronavirus, il tecnico basket campano:
«Amo la mia terra ma non lascio Valencia»

Coronavirus, il tecnico basket campano: «Amo la mia terra ma non lascio Valencia»
di Antonio Martone
Mercoledì 25 Marzo 2020, 09:08
3 Minuti di Lettura
«È come se vivessi nel passato, con una specie di macchina del tempo, perché la tragedia del Covid-19 in Spagna, con le sue varie evoluzioni, si sta registrando con circa otto giorni di ritardo rispetto all'Italia in maniera identica...». Sono le parole di Alessandro Di Pasquale, 45 anni, beneventano, allenatore professionista di basket, appartenente a una famiglia di sportivi. I genitori Giuliano e Maria sono ex cestisti, il fratello Antonino ex arbitro. Alessandro da due anni e mezzo lavora con il Valencia. È arena coordinator Eurolega e Liga Endesa serie A della prima squadra, assistente junior e allenatore di tecnica individuale giovanile.

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Come sta vivendo questo dramma del coronavirus lontano da Benevento?
«Ero preparato, me l'aspettavo ascoltando le notizie che mi arrivavano dall'Italia. Madrid è come se fosse la nostra Lombardia, l'epicentro del virus, mentre Valencia è l'Emilia Romagna, qui già si è arrivati a oltre 100 morti. Vivo praticamente asserragliato in casa da circa dieci giorni, avendo provveduto ad acquistare prodotti alimentari per tempo, oltre a fornirmi di mascherina, guanti e amuchina. La situazione è identica all'Italia a livello di psicosi e di vita».

Quando in Italia l'emergenza si è manifestata in maniera dirompente cosa ha pensato?
«Ero preoccupato, mentre qui sembrava un'isola felice e confesso che fino a giovedì 12 i media spagnoli banalizzavano su questo virus, dicendo che era una banale influenza. Anzi, qualcuno, in maniera scherzosa sapendo delle mie origini, quasi ci scherzava sopra, a livello di sfottò, con battutine, pensando che fosse un problema solo della mia Nazione. Tra l'altro qui vive una folta delegazione italiana. Ora sono terrorizzati, impauriti e mi chiedono come comportarsi, sapendo appunto che noi stiamo vivendo questo dramma da prima del popolo spagnolo e quindi abbiamo maggiore esperienza».

Quando si è giocato il ritorno di Champions tra Valencia e Atalanta, ha avuto contatti con italiani?
«Quel giorno sono uscito di casa ma usando mille precauzioni e vi dico che fuori dallo stadio, perché la gara si è giocata a porte chiuse, c'erano migliaia di tifosi di casa e tra loro anche tanti dell'Atalanta arrivati da Bergamo nonostante il divieto, non so come. Prima del match di Champions c'era stato nei giorni precedenti quello di basket con l'Olimpia Milano, dove sono stato proprio io ad accogliere la squadra delle scarpette rosse e tutto si è svolto nella norma».

Ora è bloccato a Valencia, ha nostalgia di Benevento e voglia di tornare a casa?
«Innanzitutto sono orgoglioso delle notizie che stanno arrivando dal Sannio, che almeno finora è zona bianca e questo è merito della civiltà e dello spirito di sacrificio dei miei conterranei. Ho nostalgia della città, della famiglia, degli amici, ma è la prima volta nel mio lungo peregrinare che non voglio tornare. Questa è casa mia, voglio continuare la mia mission, ma soprattutto per un senso civico non me la sento di mettermi su un aereo e di venire in Italia. Sono in disaccordo totale con quelli che stanno lasciando il Nord o le Nazioni dove lavorano per tornare a casa. È un gesto di egoismo, non possiamo correre il rischio di portare il virus nelle nostre case, nel nostro Sud».

Attualmente il lavoro è fermo, visto che l'attività è sospesa?
«È vero che allenamenti e partite sono sospesi, ma noi stiamo lavorando da casa a livello di preparazione fisica, ci sono riunioni giornaliere. Tramite una piattaforma zoom tutta la cantera svolge lavori».

Un pensiero sul Benevento calcio, del quale è da sempre tifosissimo?
«Non possono negarci la A, sarebbe antisportivo, come togliere scudetto al Liverpool. Se c'è lo spazio per poter giocare bisogna concludere, altrimenti va premiata l'attuale classifica».
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