L'Indipendente 

Sabato 4 Aprile 2015, 11:25
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In un certo senso, Massimo Fini era ed è un isolato. Nonostante gli amici illustri, è rimasto ai margini. Poteva vantare Montanelli e Bocca tra i suoi estimatori, pronti a sceglierlo come erede, ma non ha mai trovato una giusta dimensione su giornali o in tv, rispetto alla sua grandezza. Eppure non c’è rammarico nella sua autobiografia, “Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno” (Marsilio). Tutte le pagine di Fini dimostrano la pochezza di un sistema culturale, quello italiano, impreparato alla libertà, incapace di concedere al meglio lo spazio che meritano i dispari, incoerente rispetto all’autonomia, schizofrenico persino di fronte all’evidenza. È un racconto che mette in vetrina l’intimità, mostra molti aspetti profondi e si abbandona senza preoccuparsi delle conseguenze. Ho sempre visto Fini come una Marlene Dietrich, una voce altra, che una volta ascoltata: annullava tutto. E, questo libro è la sua “Lili Marleen”, svela all’Italia che ha perso la guerra, quella vera, senza armi o trincee, quella del racconto di un paese affidato alle voci sbagliate e scritto da giornalisti creati in vitro. 
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