Legge finanziaria e "questione meridionale"

Sabato 17 Ottobre 2015, 19:43
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È vero: non è una finanziaria per il Sud quella che Matteo Renzi ha appena annunciato. Ma è altrettanto vero che non è con le finanziarie che si risolve la questione meridionale. Intanto perché la “questione” non esiste più e si è frantumata in Regioni e territori con caratteristiche assai diverse. E poi perché non è i con i soldi che si è riusciti a scalfire in 150 anni un divario che è rimasto quasi sempre uguale a se stesso (e che si è aggravato negli ultimi anni): sono mancate idee, competenze, una classe dirigente e, soprattutto, l’affermazione di un principio di responsabilità elementare: chiunque spende anche un solo EURO di risorse pubbliche, risponde dei risultati. Principio vero per l’intera pubblica amministrazione. Ma che andrebbe anticipato al Sud, facendolo diventare laboratorio della riforma che Marianna Madia sta faticosamente cercando di portare a compimento per l’intero Paese. Sarebbe questa la vera rivoluzione copernicana. Non sono i soldi che sono mancati allo sviluppo del Mezzogiorno e, del resto, se fossero stati distribuiti in maniera automatica a ciascun cittadino meridionale i 43 miliardi di Euro stanziati – solo dalla Commissione Europea - per il Sud, il PIL del Mezzogiorno sarebbe cresciuto negli ultimi sette anni del 12%: ed invece – in maniera tragicamente speculare – è diminuito del 13 portando il Mezzogiorno a distanze siderali dal resto del Paese. E a poco valgono gli argomenti sui “patti di stabilità” (che sono decisi all’”interno” del Paese) perché a parità di vincoli ci sono Regioni e Paesi che spendono meglio. Non molto diverso l'argomento delle esenzioni mirate a chi decide di investire nel Mezzogiorno: già in un passato recente, è stato evidente che in condizioni - allora decisamente migliori - tali esenzioni non producono alcun significativo investimento aggiuntivo e neppure occupazione addizionale. Perchè il volume di investimenti dipende dal ritorno che un imprenditore ha e ciò è fortemente influenzato da un contesto che, da tempo, ha, semplicemente, visto il Mezzogiorno uscire dall'economia globale (lo scorso anno il volume di investimenti esteri localizzati nelle cinque Regioni "convergenza" sono stati inferiori a quelli della sola Umbria). Certo a vedere le tavole nelle quali si assumono come “risposte al Sud”, le azioni sulla Salerno – Reggio Calabria, la Terra dei Fuochi e l’ILVA, viene da pensare che gli argomenti sono stati scelti facendo una semplice classifica di quelli che hanno avuto la rassegna stampa più ampia. Manca il famoso “master plan”. Ma non era la finanziaria la sede per affrontare il problema. E, tuttavia, se davvero vogliamo “cambiare verso” anche nella parte del Paese per la quale non c’è neppure la piccola ripresa che interessa il Centro Nord, dovremmo, piuttosto, che continuare con le lamentele – sempre più sterili – cominciare proprio da questo principio che è persino principio morale: tutti quelli che finora si sono occupati del problema SUD senza risolverlo (e ingrassando se stessi) devono occuparsi di altro. Tutti: burocrati, politici, consulenti, avvocati, finti formatori. Ed invece le gare per l’acquisto della cosiddetta “consulenza” sono fatte, in maniera tale, da ammettere solo quelli che hanno fatto fatturato negli anni scorsi con le amministrazioni portandole al fallimento. Ed i dirigenti dello sfascio sono, spesso, ancora al loro posto. In queste condizioni – organizzative – versare ulteriori risorse significa sprecarle. Tanto vale attrezzarsi per riallocarle – magari all’interno delle aree in ritardo di sviluppo – tra amministrazioni che preferiscono i proclami ed altre (in Puglia o a Salerno) che lavorano in silenzio. La rivoluzione copernicana non poteva essere nella finanziaria. Essa è nelle mani dei governatori delle regioni meridionali e dei cittadini (sempre di meno e sempre più vecchi) che sono rimasti al Sud. Anche se, di certo, il Governo deve stimolare ed, in qualche caso, sostituire chi non è capace. Qualsiasi altro discorso ha il difetto di essere inutile. O peggio di fornire una stampella ad un sistema di “potere” che è giunto al capolinea.
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