L’Italia naturale piattaforma al centro del Mediterraneo con Napoli in una collocazione strategica. Posizioni destinate a crescere ulteriormente mettendo a sistema i porti e le infrastrutture, a cominciare da quelli del Mezzogiorno. Ne parliamo con l’Ambasciatore Riccardo Sessa, dal 2023 presidente della SIOI, la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, con una lunga esperienza diplomatica, già Ambasciatore a Belgrado, Teheran, Pechino e alla Nato e anche direttore generale per il Mediterraneo e Medio Oriente.
Ambasciatore Sessa, prima di affrontare altre tematiche viene spontaneo chiederle cosa sta succedendo e cosa può succedere dall’altra parte del Mediterraneo?
«In una regione vicinissima all’Italia è in atto una vera e propria tragedia che abbiamo tutti il dovere di fermare. È vero che servono forti pressioni, che sono essenziali vari attori, come Usa, Russia e Cina, ma è l’Europa che deve tornare ad essere protagonista, e con essa l’Italia. Le dichiarazioni non bastano, bisogna ora avere il coraggio di avere coraggio, senza ambiguità e in coerenza i nostri tradizionali rapporti con quella parte del mondo».
Venendo a situazioni che interessano più direttamente Napoli e la sua vocazione, cosa la colpisce di più?
«Innanzitutto si devono mettere a sistema i porti. Occorre quel coordinamento di cui si parla da tempo per cogliere tutti i frutti delle varie iniziative italiane nei confronti del Sud, a cominciare dal Piano Mattei, un progetto importante che conferma l’impegno della presidente Meloni e del vicepremier Tajani nei confronti di quella regione. Serve una visione più allargata del Mediterraneo con le infrastrutture italiane chiamate a svolgere un ruolo di primaria importanza. Non solo per assicurare flussi turistici - il porto di Napoli non è secondo a nessuno - ma anche per accogliere i ritorni di una coordinata promozione economica, finanziaria ed energetica. I porti del Sud saranno quelli privilegiati. Devono quindi essere pronti a competere con i giganti della portualità europea e cinese organizzandosi, eliminando le contrapposizioni, per gestire flussi destinati a diventare sempre più importanti. In un contesto come questo Napoli deve recuperare una sua vocazione mediterranea».
Veniamo al Mediterraneo. Da Mare Nostro è diventato Mare di tutti. Non c’è sviluppo se non si parte dal Mediterraneo, non c’è crisi se non si coinvolge il Mediterraneo. È la posizione di questo mare che attrae, o c’è dell’altro?
«Il Mediterraneo ha una storia millenaria e siamo tutti cresciuti con una cultura mediterraneo-centrica. Il Mediterraneo è stato da sempre al centro di tutte le dinamiche internazionali e, convivendo con crisi e guerre, ha da un lato generato gli anticorpi necessari per quelle crisi e, dall’altro, maturato la capacità per affrontarle. La stabilità del Mediterraneo è strumentale alla sicurezza dell’Europa e la stabilità del mondo passa per il Mediterraneo. Quindi è vero che il Mediterraneo da mare “nostro” è diventato “di tutti”. Ma non dimentichiamo che l’Italia, per la sua storia e collocazione, è centrale nelle dinamiche del Mediterraneo. L’Italia c’era, c’è stata e ci deve essere con relazioni ed iniziative importanti».
Ma quali sono i confini politici del Mediterraneo allargato e quello del Mediterraneo “più allargato”?
«Sono confini necessariamente allargati, anche perché parliamo di un mare chiuso, e da qualche anno il concetto di Mediterraneo allargato si è evoluto e oggi si parla più correttamente di Mediterraneo più allargato. Queste definizioni nascono grazie anche al contributo delle Marine militari, e della nostra in particolare, che ha spesso svolto un ruolo da apripista anche sul piano diplomatico quando si avvertì l’importanza di spingersi verso il Mar Nero. Oggi parlando di Mediterraneo più allargato si guarda in un’ottica molto più vasta alle dinamiche internazionali e al ruolo che i cosiddetti domini marittimi possono svolgere».
Ma questo ampliamento genera più opportunità, o più rischi?
«Le opportunità sono sempre collegate a dei rischi. Ma in questo caso sono sicuramente maggiori le opportunità di una simile proiezione dell’Italia sul piano internazionale».
La SIOI è oggi anche un centro studi che, tra i vari temi, affronta la sicurezza marittima nel Mediterraneo ed in altri mari. Quali sono gli aspetti più importanti delle vostre analisi?
«SIOI era nota finora per l’importante ruolo nel settore della formazione alle carriere internazionali (si pensi al corso, giunto quest’anno alla 56° edizione, di preparazione al concorso al Ministero degli Esteri di accesso alla carriera diplomatica). Da qualche anno abbiamo un’Unità Analisi e Ricerche che sta acquisendo credibilità come Think Tank grazie ad una rete di autorevoli professionalità tra persone con forti esperienze internazionali e giovani brillanti ricercatori. Una delle nostre ricerche riguarda quelli che noi definiamo i cosiddetti “mari fragili”, partendo dai grandi mari, dall’Artico, (di cui la SIOI si occupa da una decina di anni), scendendo giù verso i Balcani e quindi il Mar Nero, il Mar Caspio e poi il Bosforo e Suez, tutte aree dove non mancano le criticità, fino ai Paesi del Golfo e poi anche verso l’Indo-Pacifico fino al Giappone. Quindi le incertezze dei domini marittimi ed i nuovi quadri analitici delle crisi internazionali. Abbiamo vari programmi in corso, e tra questi uno dei miei obiettivi è di riaprire una Sezione della SIOI a Napoli».
Torniamo al Piano Mattei. Si guarda all’Africa in maniera diversa. Il Mediterraneo è il ponte ideale per questa politica che sembra piacere anche alla Ue?
«L’originalità del Piano Mattei è proprio nel costituire un modo nuovo per guardare ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e non solo. Consente all’Italia di riacquistare una centralità nei rapporti con i Paesi destinatari con i quali possono nascere rinnovate collaborazioni e nuove opportunità economiche e anche energetiche».
Questi rapporti possono incidere anche sul fenomeno immigratorio?
«Le varie iniziative previste dal Piano Mattei contribuiranno necessariamente a favorire uno sviluppo più moderno dei Paesi destinatari, e quel processo potrà a sua volta incidere in una certa misura sui flussi immigratori».
L’Italia è tra i protagonisti dell’operazione Nato “Sea Guardian” nelle acque del Mediterraneo. Quale il senso di queste missioni?
«È un’operazione alla quale partecipano unità della nostra Marina Militare in collaborazione con le Marine di altri Paesi per proiettare sicurezza, garantire le vie di comunicazione e commerciali e anche contro il terrorismo. È una missione della Nato, che, ricordo, dagli inizi degli anni 50 ha il suo più importante Quartier Generale operativo proprio a Napoli».