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GIORGIA MELONI

C’è sempre più Italia nei mercati emergenti: con energia e hi-tech

Dagli elicotteri di Leonardo in Arabia al supercavo di Terna che unirà Europa e Africa

C’è sempre più Italia nei mercati emergenti: con energia e hi-tech
C’è sempre più Italia nei mercati emergenti: con energia e hi-tech
di Nando Santonastaso
Articolo riservato agli abbonati premium
venerdì 31 gennaio 2025, 23:00 - Ultimo agg. : 2 febbraio, 12:36
6 Minuti di Lettura

Gli elicotteri militari di Leonardo presto in Arabia Saudita, gli pneumatici di Pirelli anche. E con loro, anche un polo di eccellenza nella cantieristica navale civile con Fincantieri (e Aramco). Il super cavo elettrico sottomarino tra Africa ed Europa è targato Terna (che lo costruirà insieme a Steg, la società tunisina dell’elettricità e del gas) mentre Snam è impegnata nella realizzazione del corridoio energetico che sempre dall’Africa farà affluire idrogeno verde nel vecchio continente, via Mezzogiorno. Eni è pronta a coinvolgere oltre 700mila agricoltori africani nei prossimi tre anni per produrre energia, puntando a triplicare la produzione di biocarburanti nel continente africano e, in misura minore, pure in quello asiatico. E poi i primi 22 progetti del Piano Mattei, destinati a 9 Paesi africani diventati nel frattempo 14, e i piani di cooperazione del sistema universitario con gli atenei del Continente, persino un progetto di collaborazione con l’Egitto per elevare la capacità di impatto industriale e tecnologico del Paese dei faraoni nell’aerospazio.

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C’è sempre più Italia soprattutto nel Sud del mondo e in particolare nelle aree dove lo sviluppo è oggettivamente possibile, perfino necessario se si pensa ad esempio alle centinaia di milioni di africani che non godono ancora dei benefìci dell’energia elettrica. Italia che investe per aprire prospettive e nuovi mercati alle sue imprese, che affida alla stabilità di Governo e alla tradizionale affidabilità delle aziende che esportano (a partire da quelle energetiche) le chiavi migliori per attrarre l’interesse di vecchi e nuovi partners. Italia impegnata a recuperare il terreno perduto negli anni, quando pezzi importanti (si pensi alla chimica) del patrimonio industriale furono delocalizzati oltre confine nell’illusione che si potesse accrescere comunque il vantaggio competitivo e di ridurre i costi di produzione.

Evidente la trasformazione del paradigma: un tempo l’Italia nel mondo era soprattutto (o solo) moda e auto, oggi è anche capacità tecnologica, impiantistica, soluzioni di eccellenza nell’utilizzo dei materiali, cantieristica, innovazione senza rinunciare ai “pivot” più tradizionali. Dalle nostre coste continuano ad arrivate negli Usa, ad esempio, i modelli Stellantis Tonale a Dodge Hornet, prodotti nello stabilimento di Pomigliano, e il secondo destinato esclusivamente al mercato a stelle e strisce.

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La nuova geografia degli investimenti del Paese oltre confine, arricchita di recente dagli accordi sottoscritti dalle aziende al seguito della premier Meloni in Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain, è una sfida nel nome della competitività a concorrenti temibili, come la Cina in Africa. Ma anche il tentativo di allargare alle medie e piccole imprese gli scenari che sembrano delinearsi dietro i capifiliera, le grandi società partecipate che i loro investimenti all’estero li hanno sempre portati avanti. Strategia integrata, si dice, ma soprattutto una strada obbligata considerata la perdurane e ormai ciclica stagnazione economica dell’Europa: il piano B disegnato dall’Italia è un’opportunità a tutti gli effetti e il consenso europeo alle finalità del Piano Mattei ne è la dimostrazione più lampante.

Oltre tutto, non ci sono sol loro, i settori a maggiore valore industriale aggiunto nell’elenco degli investimenti all’estero targati Italia. Prendiamo l‘immobiliare, ad esempio: Abu Dhabi attrae da tempo importanti capitali italiani per interventi spesso ad alto costo, ovvero attici extra-lusso. Il fenomeno è determinato in parte da alcune caratteristiche tipiche dell’Emirato che dagli anni ‘90 sta avviando una fase di nuova espansione urbanistica ma a far presa è anche il regime fiscale ancora molto vantaggioso rispetto ai Paesi occidentali. Nell’aerospazio, invece, i francesi temono ormai il sorpasso italiano nella leadership europea: a lanciare l’allarme sono stati i sindaci di Cannes e Tolosa, le città con grossi interessi nel settore, secondo i quali gli importanti investimenti previsti dal nostro Pnrr possono portare a un sorpasso storico nel settore. Di sicuro, secondo la valutazione di Pwc gli investimenti italiani nella Space Economy ammontano a circa 4,6 miliardi di euro, con un fatturato del mercato aerospaziale attorno a 2,5 miliardi di euro nel 2022. In particolare, nel 2023 gli stanziamenti nazionali sono stati di circa 1,85 miliardi di euro, a cui si sono aggiunti 2,3 miliardi di euro del Pnrr e 300 milioni provenienti dalla partecipazione italiana al programma Artemis di esplorazione spaziale internazionale guidato dalla Nasa. Nei prossimi tre anni, inoltre, sono previsti investimenti italiani per oltre tre miliardi di euro nell’Esa, l’Agenzia spaziale europea: grazie all'accelerazione degli investimenti pubblici nel comparto, entro il 2026 gli investimenti italiani potrebbero sfiorare addirittura i 7,3 miliardi di euro.

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Insomma, siamo decisamente cresciuti come sistema Paese nella capacità di fare e attrarre investimenti e la spinta che in tal senso è arrivata non solo dal Pnrr ma anche dalla Zes unica per il Sud non è affatto secondaria. Non è un caso che un organismo creditizio di solide radici, come la Bei, la Banca europea per gli investimenti, ha reso noto ieri, attraverso la vicepresidente Gelsomina Vigliotti, che nel 2024 con 99 operazioni firmate, ha investito 10,98 miliardi di euro in Italia, pari allo 0,5% del Pil nazionale, contribuendo ad attivare investimenti nell'economia reale per circa 37 miliardi di euro, equivalenti all'1,7% del Pil. Un dato rilevane anche in rapporto al totale dei finanziamenti sottoscritti dall’Istituto pari a 89 miliardi di euro che hanno contribuito ad attivare investimenti per circa 350 miliardi di euro nell'economia reale (quasi 51 miliardi di euro, pari a quasi il 60% del totale degli investimenti dell'anno, sono stati destinati a supporto della transizione verde, dell'azione per il clima e della sostenibilità ambientale).

Lungo l’elenco delle aziende italiane che operano stabilmente all’estero, soprattutto nel settore delle costruzioni. Altrettanto esteso quello delle società straniere che lavorano per conto degli italiani, tra partecipazioni o reti di filiera. Enorme quello delle realtà agroalimentari che esportano. C’è tutto questo dietro il quarto posto dell’Italia nella classifica mondiale dell’export che il Piano Mattei dovrebbe consolidare.

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Tanti i progetti promossi con i partners del Continente, alcuni anche dettati da storiche emergenze dei territori locali: pochi giorni fa a Dar es Salaam in Tanzania, nel corso dell’Africa Head of State Energy Summit, il nostro Paese ha confermato ad esempio il proprio sostegno al programma “Mission 300”, l’iniziativa della Banca Mondiale e della Banca Africana di Sviluppo che punta a garantire l’accesso ad elettricità pulita a 300 milioni di persone nell’Africa Sub-sahariana entro il 2030. Già operativi, inoltre, i progetti in agricoltura per la coltivazione di cereali e legumi nelle zione desertiche dell’Algeria da parte di Bonifiche Ferraresi e del ricino per biocarburanti di Eni in Kenya mentre Leonardo in missione in Costa d’Avorio e altri Paesi nordafricani sta mettendo a disposizione le proprie applicazioni tecnologiche nel settore agricolo, nella cyber sicurezza, nella digitalizzazione, nella sanità. L’Italia che piace e rinata così.

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