Violenza sessuale al maneggio,
le famiglie difendono l'istruttore

Violenza sessuale al maneggio, le famiglie difendono l'istruttore
di Mary Liguori
Venerdì 4 Ottobre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 11:33
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Inviato a Maddaloni

La pioggia si è fatta fine, nel cielo è comparso un enorme arcobaleno. Dalla Variante che unisce Caserta a Maddaloni, una traversa porta in campagna e piccole frecce bianche indicano la strada. «Scuola di equitazione».
Il viale, costeggiato da un aranceto, culmina in una villa dalle pretese barocche. Poi un cancello di ferro spalancato, con le insegne del Coni e della Fise. Le inferriate sono aperte, una donna entra con un bimbo in braccio. Il piccolo con l'impermeabile giallo scende dalle braccia della madre e raggiunge le amichette di corso.
 
Ragazzine di dieci anni passeggiano sul cortile sterrato, sulla destra un gabbiotto verde, lungo e stretto, con un gatto raggomitolato sonnecchia e si guarda intorno con un occhio solo. Sull'ingresso del gabbiotto ci sono due giovani uomini, dentro una ragazzina gioca col cellulare. Uno dei due ragazzi si fa avanti. Sembra ben disposto nonostante la bufera che si è abbattuta sul centro ippico, col titolare agli arresti domiciliari da due giorni, accusato di abusi sessuali su sette piccole allieve. «Parlatene con l'avvocato», si ritrae il giovane. «Non abbiamo molto da dire, se non che questo centro è stato fondato per amore dei bambini e dei cavalli, per consentire a una ragazzina problematica di fare ippoterapia e, dopo di lei, a tanti altri ragazzi di usufruire dello stesso servizio. È questa la persona che oggi dipingono come un orco».

Non c'è rabbia nelle sue parole, nonostante il rapporto di parentela che lo lega al protagonista dello scandalo. Voce pacata e tono fermo. Così come trasmettono serenità gli altri adulti presenti al maneggio dove si sarebbero consumati mesi di abusi. Ma è la presenza dei bambini, al maneggio «nonostante» tutto, a far riflettere. «C'è anche la figlia del titolare: lavora qui», aggiunge una donna mentre si allontana con la figlioletta che ha appena finito la lezione. Il maneggio è popolato di ragazzini.

Le attività nel centro ippico non si sono fermate. Né i genitori degli allievi hanno ritirato i figli. Non credono alle accuse: i bambini sono a lezione come ogni giorno, come se nulla fosse successo. «Non è successo niente», dice, infatti, una delle mamme. E, a guardarsi intorno, vien da cercare il luogo in cui si sono consumati gli abusi. Quegli anfratti indicati dalle vittime come «gli unici posti del centro ippico in cui non ci sono telecamere», dove il molestatore avrebbe allungato le mani su di loro senza pericolo d'essere scoperto. Non è una struttura grande quella che sarebbe stata teatro di mesi di violenze. Anzi. È un maneggio piuttosto piccolo, un ambiente all'aperto, eppure raccolto. È il tocco della gestione familiare.

La criniera fulva di una giumenta fa capolino dai box che, in serie, circondano il galoppatoio, un rettangolo di meno di venti metri per trenta. Un recinto di legno, poi ancora ricoveri per cavalli, tutti con la testa ritta, sembrano statue in attesa di qualcosa. Il raglio triste di un asino è l'unico suono che cerca di coprire il vociare sommesso degli adulti e le vocine delle ragazzine. Sono le compagne di corso delle sette allieve che hanno denunciato il proprietario del centro ippico. Sulla scorta dei loro racconti, il pm Annalisa Imparato ha chiesto e ottenuto l'arresto del 57enne, un uomo che le vittime descrivono come un viscido, un predatore sessuale. Come un pedofilo. Uno che avrebbe approfittato di ragazzine tra i sei e i sedici anni strusciandosi contro di loro, toccando le loro parti intime, baciandole. Una addirittura racconta di essere stata gettata a terra e che - tale era il terrore - da quel giorno, al maneggio, ci andava con un cacciavite in tasca. Per difendersi.

Le accuse sono già cristallizzate nell'audizione protetta e filmata delle vittime. E di fronte ai loro racconti c'è da farsi venire i brividi di rabbia. Secondo il gip Nicoletta Campanaro che ha spiccato l'arresto il quadro messo insieme dalla squadra mobile di Caserta, diretta da Davide Corazzini, è «solido e coerente» perché coerenti tra loro sono le denunce delle vittime, spronate a farsi avanti da una compagna di corso che, per prima, ha chiamato il Telefono azzurro e dato il via al metoo dell'equitazione. La vicenda, e il numero elevato di vittime, non ha lasciato indifferenti i vertici della Fise che ha hanno convocato per lunedì, a Roma, tutti i presidenti regionali della Federazione per affrontare l'argomento ed elaborare eventuali misure di prevenzione. Ciò al di là del caso specifico e di quanto accadrà, tra dieci giorni, dinanzi al tribunale del Riesame cui il 57enne, difeso dall'avvocato Giuseppe Dessì, si è rivolto per chiedere la scarcerazione.
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