«Paga il pizzo o ti faccio inguaiare dal pentito»: preso genero Belforte

«Paga il pizzo o ti faccio inguaiare dal pentito»: preso genero Belforte
di Mary Liguori
Mercoledì 7 Febbraio 2018, 16:47 - Ultimo agg. 16:48
3 Minuti di Lettura
Usava il boss pentito come uno spauracchio. «Se non mi dai i soldi, finisci in galera». Utilizzavano quel cognome che era stato sinonimo di sangue e morte come una sorta di «braccio armato» della legge. E così costringevano alcuni commercianti di Marcianise a pagare le estorsioni. Perché intanto Salvatore Belforte si era pentito. E il genero di vivere nella legalità non ne voleva sapere. Quindi utilizzava quello stesso nome per convincere alcuni commercianti di Marcianise a pagare il pizzo. Dopo che la Dda ha scaricato Salvatore Belforte, il boss che ha perso i benefici di legge per i collaboratori di giustizia per aver mentito ai magistrati, arriva una nuova tegola sulla cosca dei Mazzacane. Da ieri è in carcere, a Voghera, il genero del boss, Giuseppe Alberico, e sua moglie, Gelsomina Belforte, è indagata in stato di libertà. Secondo il pool antimafia diretto dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio, sostituto Luigi Landolfi, mentre erano in località segreta, beneficiando da un punto di vista economico della protezione riservata ai parenti dei pentiti, Giuseppe Alberico e la moglie si sono resi protagonisti di almeno due «viaggi lampo» a Marcianise. Lei, interrogata, ha spiegato che erano andati sulla tomba della figlia. Ma le celle telefoniche agganciate dai loro cellulari nei due giorni «incriminati», nella primavera del 2016, e le intercettazioni a carico delle vittime, di poco successive alle loro visite nella città natale, hanno ricostruito un’altra storia. Una storia che fa riflettere sulle falle del sistema pentiti. Strumento prezioso e pericoloso. Sui trucchi che i collaboratori di giustizia e i loro familiari possono utilizzare per farsi gioco dello Stato. Salvatore Belforte non è più un pentito da alcuni mesi. La Dda ha chiesto e ottenuto la revoca della collaborazione perché ha mentito sulle informazioni relative alle finanze del clan e, quando il pm gli ha fatto notare di essere stato sbugiardato, ha anche tentato di aggredirlo con una stampella. Ma, mentre ancora era un pentito e sua figlia col suo nucleo familiari viveva a spese dello Stato con uno stipendio da 1400 euro, la coppia avrebbe lasciato la località protetta senza autorizzazione per riscuotere il pizzo di Pasqua del 2016.
L’indagine affidata alla squadra mobile di Caserta, diretta dal vicequestore Filippo Portoghese, tratteggia un affresco di bugie e sotterfugi. «Siamo venuti a far visita alla tomba di nostra figlia», spiega Gelsomina Belforte al pm. Ma, intercettati, i gestori dell’agenzia di pompe funebre che ha sempre pagato il racket ai Belforte, dicono altro. «Non solo stanno facendo i pentiti, non solo stanno in località protetta, vengono anche a fare le estorsioni a Marcianise… cioè stanno facendo la villeggiatura con i soldi nostri praticamente! Non solo, quelli prendono anche i soldi dallo Stato…», uno dei dialoghi. Ma la parte più inquietante è un’altra. Uno dei titolari delle pompe funebri dice al fratello «A maggio aveva saputo tramite il genero di Salvatore Belforte che uno di noi doveva essere arrestato insieme a diversi colletti bianchi di Marcianise… usò questo termine... una tarantella mi volevano mettere in mezzo... per farsi dare altri soldi». Nella parte successiva del dialogo con il fratello, l’uomo aggiunge che poi lo stesso Alberico li avrebbe rassicurati. «No... ma figurati se mio suocero farebbe una cosa del genere con voi che avete sempre pagato, vi siete sempre messi a disposizione, l’estorsione... Alla fine prima che se ne andava disse… io ti volevo dire se ci puoi dare qualcosa di soldi, perché noi siamo in difficoltà... se puoi portare due o 3mila euro... 4mila euro, io non so quanto gli ha chiesto... poi gli portò questi soldi che questo gli aveva chiesto a sto Peppe «O mostr’» alla moglie.
Per la Dda, dunque, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio del 2016 Alberico e la moglie si sottopongono a un vero e proprio «tour di force» percorrendo per due volte la bellezza di 1600 chilometri in 24 ore (la distanza tra la località protetta, in Piemonte, e Marcianise) allo scopo di intascare il pizzo di Pasqua. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA