La strage dei neri nell'Africa d'Italia:
10 anni dopo la mafia è nigeriana

La strage dei neri nell'Africa d'Italia: 10 anni dopo la mafia è nigeriana
di Gigi Di Fiore
Martedì 18 Settembre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 14:16
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Inviato a Castel Volturno

Il grande assente, dieci anni dopo l'orrendo massacro mafioso di sei immigrati africani, è l'unico eroe della storia. Si chiamava Joseph Ayimbora, del Ghana. Si finse morto mentre gli assassini sparavano 122 colpi con sette armi diverse, poi raccontò tutto e aiutò gli inquirenti a fare luce sulla strage dei camorristi guidati da Giuseppe Setola. È morto per un aneurisma cerebrale sei anni fa, la medaglia al valor civile che gli fu assegnata è ancora custodita nella sede del Comune di Castelvolturno. La moglie e i suoi tre figli finora non hanno avuto il coraggio di tornare per prenderla, sono in una località protetta come familiari di un testimone di giustizia. Già, perché, nel silenzio generale di chi aveva visto, Joseph fu l'unico ad avere avuto il coraggio di parlare. Lo ricorda Alessandro Milita, il pm della Dda che dieci anni fa fece il primo sopralluogo nella ex sartoria «Ob Ob exotic Fashion»: «Nessuno ebbe il coraggio di testimoniare, ricordo ancora una delle vittime, poco più di un ragazzo, che aveva cercato di rifugiarsi in uno sgabuzzino, ma non ci riuscì perché la porta era chiusa e fu ucciso come gli altri».

Dieci anni dopo, al chilometro 43 della Domiziana quella saracinesca è sbarrata. C'è una specie di stele artigianale tenuta da due viti, con parole incise su un piano di condensato. «In ricordo dei sei fratelli africani vittime innocenti dell'odio razziale e della violenza camorrista» si legge nella premessa all'elenco delle vittime. Venne messa otto anni fa dalle associazioni che, ogni 18 settembre da quel 2008, ricordano la strage: ex Canapificio, centro Fernandes, Caritas. Spiega Mimma D'Amico dell'ex Canapificio: «Il ricordo lo facciamo ogni anno con le scuole, è sconvolgente l'assenza di memoria tra i ragazzi. Pochi ricordano o sanno. Quest'anno, il ricordo sarà al Comune con 80 alunni delle scuole. Li abbiamo invitati a fare un gioco sulle identità. Quello che manca è l'inclusione in una realtà ad alta presenza di immigrati».
 
Secondo i dati stimati dal Comune, in una fascia di 27 chilometri sul litorale domizio, sono concentrati 15mila immigrati irregolari e solo 5mila regolari. È la grande Africa d'Italia, con 80 etnie e la prevalenza di nigeriani e ghanesi. «Sul territorio è scomparsa quella camorra storica dei Casalesi, che ideò la strage indiscriminata dieci anni fa per dare un avvertimento agli immigrati» dice il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, allora coordinatore nella Dda napoletana delle indagini sui Casalesi. Lo spaccio di droga al dettaglio, come il controllo della prostituzione delle connazionali, viene gestito ora da gruppi nigeriani. E dice il sindaco di Castel Volturno, Dimitri Russo: «C'è un controllo di quelle attività illegali in maniera silente. Senza episodi in grado di creare allarme sociale. Se al centro storico non si vede quasi nessun immigrato, dal confine del Volturno, le etnie africane dominano».

L'area dell'ex hotel Boomerang, che fu anche location del film Gomorra, è la zona dei tossicodipendenti africani che spacciano. Una volta qui c'era una piscina e si tenevano affollate cerimonie. L'inclusione sociale è tutta da costruire, nonostante da anni siano impegnate non meno di 13 associazioni e onlus di volontariato, di ispirazione cattolica e di privati. Gli extracomunitari africani fanno gruppo tra loro, hanno i loro negozi, le loro attività artigianali, i loro passa parola. Dice Elena Pera, responsabile dell'associazione Risanamento Castel Volturno: «La nostra sede è in un bene confiscato alla camorra, le associazioni suppliscono ai vuoti dello Stato spesso assente. Un anno fa venne creato un commissariato straordinario per gestire l'integrazione dell'alta immigrazione. Mi chiedo cosa abbia fatto, il prefetto che lo guidava è andato via. Non ci sono segnali dal suo successore». Ma a Castel Volturno e dintorni, la grande Africa significa migliaia di immigrati ormai residenti. Alcuni abitano qui da una ventina di anni, molti hanno preso la cittadinanza italiana e iscrivono i figli a scuola. Conferma Alfonso Caprio, vice direttore dell'Istituto comprensivo Garibaldi di Castel Volturno, che comprende materne, elementari e medie: «Sono di famiglie di seconda generazione di immigrati, cittadini italiani. Parlano bene l'italiano, qualcuno conosce anche il dialetto campano». I numeri confermano. Nella sede centrale di via San Rocco a Castelvolturno, su 727 alunni, sono 143 i figli di immigrati. Nella sede sul litorale, al Villaggio del sole, su 61 iscritti, i figli di immigrati africani sono una ventina. Alle elementari, nella stessa sede, su 142 iscritti i bambini di famiglie africane sono 52. Commenta Gisella Luciano, dell'associazione Laila: «Seguiamo, nei percorsi di integrazione, centinaia di bambini. Chi si avvicina alle associazioni, naturalmente, ha più voglia di integrarsi. Ma non è facile».

Sopravvissuto a un altro attentato stragista di Setola fu Ogbodu Osaheni, che si dice presidente dell'associazione nigeriana.

Mostra la ferita sul fianco lasciata dal proiettile. Si arrangia organizzando feste. Spiega che il problema principale sono i permessi di soggiorno e il lavoro. «Ho tre figli, tutti nati in Italia. Per ora siamo qui, ma molti pensano di tornare in Africa». Nelle comunità africane ricordano quanto successe dieci anni fa, raccontano la protesta del giorno dopo sotto una pioggia implacabile. Protesta contro un gesto violento, perché poi la coabitazione è ripresa senza tensioni. Spiega ancora Mimma D'Amico: «Stimiano in seimila gli immigrati con l'intenzione di radicarsi da noi. L'inclusione deve essere il vero obiettivo politico, con servizi sociali, formazione professionale. Siamo preoccupati della proposta governativa di negare il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Solo noi, abbiamo seguito duemila immigrati nelle pratiche di permesso». Oggi si ricorderà al Comune, poi fuori l'ex sartoria. Tra due mesi, qui ci sarà un'altroa cerimonia. Verrà dedicata a Miriam Makeba, mamma Africa che tenne un concerto, per stare vicina alla sua gente dopo la strage. Morì per un infarto, dopo lo spettacolo. «Quando la gente non si conosce, è sospettosa degli altri, se impariamo a conoscerci capiamo che abbiamo molti problemi uguali» disse, visitando il centro Fernandes. Dieci anni dopo, le sue parole restano un monito, Sempre attuale.

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