Elizabeth George, trent'anni di gialli: «Io la nuova Agatha Christie? Il delitto è solo un pretesto»

Elizabeth George, foto di Michael Stadler
Elizabeth George, foto di Michael Stadler
di Riccardo De Palo
Lunedì 14 Febbraio 2022, 12:19 - Ultimo agg. 18:51
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«Ogni cosa che abbia a che fare con la tecnologia è fuori dalla mia portata», scherza Elizabeth George, collegata via Zoom dal suo studio di Seattle, dove campeggia un grande dipinto con una donna al pianoforte. La scrittrice da molti descritta come l'erede di Agahta Christie ha appena pubblicato, dopo quattro anni di attesa, l'ultimo romanzo dedicato al suo personaggio più celebre, l'ispettore Thomas Lynley. Una cosa da nascondere (Longanesi) vede l'aristocratico ispettore alle prese con un'inchiesta dura e complessa, che lo porterà a indagare, insieme alla collega Barbara Havers, nella comunità nigeriana a Londra e tra le cliniche clandestine che praticano l'infibulazione. Una poliziotta di origine africana viene uccisa, e il detective avverte molta pressione per risolvere il caso.


È il suo ventunesimo romanzo dedicato a Lynley, una saga cominciata nel 1988 con E liberaci dal padre. Per caso ha già scritto, come fece Andrea Camilleri, l'ultimo capitolo della saga?
(Ride) «Prima di passare a miglior vita, mi piacerebbe portare a termine tutte le storie dei miei personaggi. Ma non so di quanto tempo avrò bisogno per arrivarci».


Il suo libro tratta di un tema molto difficile, le mutilazioni genitali femminili. È una piaga ancora diffusa nel Regno Unito?
«Purtroppo sì, ma è difficile avere dati precisi. La Metropolitan Police ha un team specializzato che lavora per porre fine a questa forma di abuso contro le donne. Ci sono molte cutters a Londra, chirurghe improvvisate che continuano a portare avanti il loro traffico».

Ha fatto molta ricerca prima di mettersi a scrivere?
«Sì, ho iniziato a lavorarci nel 2018, quando sono tornata per la prima volta nel Regno Unito per visitare i luoghi in cui ambientare la storia.

Ho visionato molte interviste a donne che raccontavano la loro tragedia. Le forzano dicendo loro che, se non lo faranno, non diventeranno pure, non riusciranno a trovare marito, nessun'altra bambina vorrà giocare con loro. È orribile».


In un suo libro, L'arte di costruire un romanzo, ha scritto che vede la narrazione come un'onda.
«Esatto, l'intreccio è come un'onda che si rompe, e tu vorresti vedere il lettore che nuota più velocemente che può per prendere l'onda, o portarsi sulla cresta - il che vorrebbe dire che arriva alle stesse conclusioni della polizia - ma non vorresti mai trovare il lettore di fronte all'onda. Perché questo significherebbe che il lettore ha già capito quello che il detective deve ancora scoprire».


Qual è stata la difficoltà principale, nello scrivere questo romanzo molto denso, con tante storie parallele che poi, magicamente, si fondono?
«Ho dovuto scrivere ben cinque versioni, prima di essere soddisfatta del risultato. E tutto questo ha a che vedere con l'onda... Poiché il tema era l'infibulazione, bisognava raccontare molti personaggi, e il loro difficile contesto familiare, senza precipitarsi a risolvere il delitto».


Crea mai una scaletta della storia?
«So dove sto andando, e questo aiuta moltissimo. Ma la difficoltà principale, quando si scrive un romanzo così lungo, è ricordare cosa è stato già detto. Per questo tengo un riassunto dei capitoli, che scrivo a matita».


Il contrasto tra Lynley, che guida un'auto d'epoca, e Havers, che pasticcia con il caffè nella sua vecchia Mini, non potrebbe essere più netto.
«Il loro rapporto, che non ha nulla di sessuale, è una delle forze dominanti di questi libri. Suscita molta curiosità tra i lettori, per esempio, capire se Barbara arriverà ad avere un amante».


Come descriverebbe il suo ispettore, conte di Asherton?
«La cosa interessante è il contrasto tra la classe sociale e il lavoro di poliziotto. Le indagini lo portano a conoscere persone comuni: sa di essere in una posizione privilegiata, e prova sempre un profondo senso di colpa nei loro confronti».


La serie della Bbc, andata in onda nei primi anni Duemila, e tratta dai suoi primi undici libri dedicati a Lynley, ha avuto un enorme successo.
«Sì e l'attore che ha interpretato il personaggio dell'ispettore, Nathaniel Parker, mi ha detto che la nostra è tra le dieci serie crime più popolari che abbia mai fatto la Bbc».


Ci saranno nuovi adattamenti tv?
«I romanzi sono stati opzionati da una compagnia di produzione molto importante nel Regno Unito. Ne sono felice, ma essere opzionati vuol dire che non sai bene cosa succederà. Devono intervenire altre forze, si deve impegnare un'emittente, perché la serie diventi realtà».


La paragonano ad Agatha Christie: che effetto le fa?
«È come comparare le mele alle arance: Agatha Christie ha scritto casi criminali molto piacevoli da leggere, ma i suoi libri sono tutti concentrati a esporre gli indizi finché qualcuno, come Poirot, rivela la soluzione e questo suscita una totale sorpresa nel lettore».


Si direbbe che invece, nei suoi libri, la risoluzione dei delitto non sia mai l'obiettivo principale.
«La storia crime è soltanto un veicolo per trattare un determinato argomento. Il delitto in questo libro mi ha permesso di esplorare il tema delle mutilazioni genitali femminili. Altre volte ho scritto, per esempio, dei matrimoni combinati nella comunità pachistana».


A quale scrittore vorrebbe assomigliare?
«Se dovessi paragonare i miei libri a quelli di qualcun altro, probabilmente penserei a P.D.James, anche se lei non rivela mai molto del suo detective, Adam Dalgliesh: si sa solo che è un apprezzato poeta. Amo molto i libri di Tana French. Tra gli autori dell'età dell'oro dei gialli, mi piacciono molto Margery Allingham e Dorothy L. Sayers».


Perché ha deciso di ambientare i suoi gialli a Londra?
«Perché ho sempre amato il Regno Unito, per ragioni storiche, letterarie. E poi per me i dettagli sono importanti: nella città in cui vivo, Seattle, non ci faccio caso, non riesco a coglierli».


L'ispettore Lynley verrà ad indagare anche in Italia?
«È già stato una volta a Lucca, potrebbe sempre decidere di tornare. Io stessa amo l'Italia, ho studiato la vostra lingua per dieci anni».

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