Giornata della Memoria: la speranza? È nelle mani dei ragazzi

L'attenzione per le nuove generazione

Il piccolo Sergio De Simone
Il piccolo Sergio De Simone
di Titti Marrone
Venerdì 26 Gennaio 2024, 08:57
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La memoria del passato ha un futuro? Ha ancora senso richiamarne il valore, indicare la storia come maestra di vita, proporre schemi argomentativi «per non dimenticare»? Hanno senso i mille e mille incontri nelle scuole con i ragazzi, propiziati da valorosi insegnanti per riflettere su ciò che è stato? Diciamolo, oggi la risposta a queste domande orienterebbe verso un perentorio «no». Va detto, in occasione di un 27 gennaio, questo del 2024, diverso dagli altri. Diverso perché peggiore. Di volta in volta questa data è stata cartina di tornasole del presente, termometro utile a misurare la temperie delle passioni politiche, civili e morali del momento. E oggi, a 24 anni dalla sua istituzione, dopo i primi tempi «gloriosi» non si tratta solo dell'infiacchimento di una celebrazione dall'aspetto ritualizzato, inaridito, al punto da indurre qualcuno a proporne l'abolizione.

Difficile negare come oggi, a confutare l'incisività del paradigma dell'Olocausto, a smontarlo e mettere a repentaglio, rovesciandolo, lo schema vittima-carnefice, sia un avvenimento che sovrasta tutto il resto: la guerra in corso a Gaza.

Le scene di distruzione e disperazione rimbalzate in tutto il mondo con gli effetti dei bombardamenti, le cifre in vertiginoso aumento delle vittime civili fanno risuonare categorie come «genocidio» - riferita, anzi coniata per descrivere l'unicum dello sterminio ebraico da parte dei nazisti per rovesciarla come accusa addosso al Paese che da quella catastrofe è nato. Un atroce paradosso.

Le parole perdono senso, tutto si confonde in tutto, le conte di morti e orrori da parte israeliana e da parte palestinese si sovrappongono, si sfidano, gareggiano in una macabra gara di emulazione. La frase di Cicerone sulla storia «luce della verità, maestra della vita» appare definitivamente soverchiata e cancellata dai versi di Montale: «La storia non è prodotta da chi la pensa/e neppure da chi l'ignora/La storia non è magistra/di niente che ci riguardi».
E allora, ci arrendiamo alla smemoratezza? Allora non hanno valore le testimonianze dirette degli ormai sparuti sopravvissuti della Shoah che, nonostante siano molto avanti negli anni, continuano a rendere memoria, quest'anno in modo più sommesso, quasi timoroso, a studenti di tutto il mondo?

Prendiamo una persona come Edith Bruck, deportata a 13 anni ad Auschwitz, Dachau e Berger-Belsen. Oggi di anni ne ha 93, è in sedia a rotelle ma continua a incontrare decine di classi di ragazzi. In un libro appena pubblicato, I frutti della memoria (La Nave di Teseo, pagine 160, euro 15), ne ha raccolto lettere, frasi, disegni. Li ha rassicurati nel suo scritto introduttivo annotando che, finché avrà fiato ed energie, continuerà ad incontrarli. È pazzia, la sua? No, se si riflette sulle sue parole. «Sento il bisogno di rispondervi, di raccontare non il mio vissuto, ma la vostra promessa di portare avanti la mia testimonianza». In queste poche parole c'è il senso di quegli incontri: trasferire la sua esperienza del Male a giovani che sappiano raccoglierla, interpretarla, leggerla non come feticizzazione di memoria, ma come filtro interpretativo di un reale in perpetua trasformazione. Come lei, con la stessa intatta passione svolgono testimonianza persone come la senatrice Liliana Segre, come le sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate ad Auschwitz a quattro e sei anni, e il loro cugino Mario De Simone fratello di Sergio, il piccolo napoletano ucciso dopo esperimenti atroci dei medici nazisti.

Proprio sulle pagine de «Il Mattino», tanti anni fa, capitò a me di raccontare per la prima volta la storia dimenticata di Andra, Tatiana e Sergio, poi trasformata in un libro, Meglio non sapere, ora ripubblicato da Feltrinelli vent'anni dopo la prima edizione. Ed anche a me, con Mario, Tatiana e Andra, capita di andare in giro per le scuole a portare ai ragazzi la memoria di quella vicenda lontana. Quest'anno sembrava più duro, più difficile, più arduo. Anche perché si trattava di confrontarsi con un'attualità terribilmente incalzante. Di spiegare la complessità di un conflitto antico come quello israelo-palestinese, l'importanza di non confondere un politico Netanyahu con il popolo israeliano o con gli ebrei in quanto tali. E a volte può capitare, in questi incontri, di temere proprio le parole, per le semplificazioni o gli equivoci a cui possono indurre.

E invece, a cogliere di sorpresa sono il più delle volte proprio i ragazzi, per l'intensità del loro ascolto, per la serietà delle loro domande e riflessioni, per come riescono a «leggere» la complessità del presente sovrapponendovi la lente del passato. Identificando il procedere del Male nella storia, tradotto nelle violenze della guerra sui più deboli e gli inermi, con la lucidità di un ragazzo ucraino di nome Volodymyr della scuola media Nicolardi, con la creatività degli studenti del Plinio il Vecchio di Bacoli, con la chiarezza dei ragazzi dell'istituto Galvani Opromolla di Angri, di quelli del Matilde Serao di Pomigliano e di tanti altri ancora. Pronti, loro sì, a farsi testimoni di un passato che si ostina a non passare, rassicurandoci sulla loro voglia di non restarsene a guardare.
 

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