Giovanna Giordano, un'italiana per il premio Nobel ​per la Letteratura

Giovanna Giordano, un'italiana per il premio Nobel per la Letteratura
di Titti Marrone
Sabato 26 Settembre 2020, 13:00
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«Come mi sento all'idea di essere candidata al Nobel per la Letteratura? Te lo spiego con un'espressione tipica a Catania, adoperata dai miei compagni di scuola per descrivermi prendendomi in giro ai tempi del liceo: come il maravigghiatu da rutta, il meravigliato della grotta cioè il pastore con gli occhi sgranati e la bocca spalancata a Betlemme davanti al Bambino. E mi vorrei tuffare in una bottiglia di vino».

Giovanna Giordano ha uno stupore divertito nella voce, mentre parla al telefono dalla sua casa di Catania. Da quando le agenzie hanno battuto la notizia del suo inserimento nella lista dei papabili al massimo riconoscimento letterario mondiale, la scrittrice, che si sente totalmente siciliana pur essendo nata a Milano nel 1961, vive in una specie di terremoto di sensazioni elettrizzanti. Ha conservato lo stesso numero al quale regolarmente la cercavo per chiederle articoli per «Il Mattino», cui ha collaborato dal 1993 al 2001. Risponde con lo stesso entusiastico candore con cui accoglieva la richiesta di un articolo, di un'intervista, di un reportage. Sa bene di essere già diventata un caso, per il fatto di essere pochissimo nota e di aver pubblicato solo tre romanzi editi da Marsilio, l'ultimo dei quali, Il mistero di Lithian è uscito nel 2004. Nel primo, Trentaseimila giorni, raccontava l'epopea di una figlia di contadini in viaggio dalla Sicilia all'America alla ricerca del marito. Il secondo, Un volo magico, è stato tradotto in Germania. Non pubblica dal 2004 ma per le pagine culturali de «Il Mattino», così come per «Il Messaggero» e «La Sicilia», ha scritto articoli su articoli, e me li elenca, allegra come in una chiacchierata tra vecchie amiche: «Il pezzo sulla guardia carceraria di Emilio Lussu, suicida dopo l'avventurosa evasione da Lipari del fondatore di Giustizia e Libertà fu uno scoop, suggerito da mia madre che conosceva la storia e me la raccontò. Poi ho scritto tra i primi di Ciprì e Maresco, di Roberta Torre, poi feci quel reportage sulla processione di Santa Rosalia, su una piéce teatrale con al centro il mafioso Brusca, su Woody Allen a Taormina, poi le interviste a Jorge Amado poco prima della morte, a Sgalambro, a Bob Wilson, a Giulio Einaudi...».
 


Sì Giovanna, ma il Nobel? Sei stata tu a dare la notizia della tua candidatura: racconta com'è andata.
«Lo so dal 31 gennaio 2020, le candidature vengono presentate entro quella data da un pool di studiosi affiancato da una commissione di esperti dei vari ambiti letterari. Me lo comunicò via mail uno dei consulenti dell'università di Svezia, gran conoscitore di letteratura italiana e tedesca, e io sulle prime pensai ad uno scherzo. Ora, in passato per gli scrittori candidati Maraini, Magris, Bonaviri ad averlo rivelato sono stati gli editori. Io ero senza editore, però da Stoccolma mi avevano detto che avrei potuto renderlo noto. A lungo me ne sono stata in un angolino, in silenzio, riservatissima. Ma l'altro giorno ho deciso di dirlo ad un amico giornalista con cui da ragazzi sognavamo di fare gli scrittori, ed ecco come è venuta fuori la notizia. Era giusto farlo sapere a partire da lui, con cui quel sogno era cominciato».

Non pubblichi un romanzo dal 2004: come mai?
«Ho scritto sempre, la mia scrittura si è semplicemente spostata. Prima l'ho messa in un cantuccio perché avevo avuto una figlia: ero passata dalle creature di carta a una creatura di carne. Poi ho scritto articoli, saggi per cataloghi, brani sulla fotografia antica. Durante il lockdown ho scritto molto ed ho quasi pronto un romanzo, l'odissea festosa di un uomo che parte da Messina negli anni '20: sarà finito in dicembre. Lo so che quello che ti sto dicendo è tutto strano, ma tu lo sai, io sono strana e la vita lo è ancora più di me».

Definisciti: che tipo di scrittrice sei?
«Una scrittrice consapevole di vivere nel pianeta e nel tempo dell'assurdo, che conosce la tragicità del mondo e la racconta con leggerezza».

Come ti spieghi che ti abbiano candidato?
«Perché, credo, i libri camminano più degli uomini e dei social.
E questi del Nobel scovano autori di tanti paesi, sconosciuti ai più come è accaduto con la Szymborska. Ora ci sarà qualcuno come me in Indonesia o nel Mali che sta festeggiando. E sono ben consapevole che ce ne sono migliaia più bravi di me. Ma intanto ora sono candidata al Nobel. Poi certo, avverrà la selezione e i 300 candidati passeranno a 20, poi a 5, e io non vincerò. Adesso nella mia casa di Catania, davanti al mare e all'Etna che in questo momento sta eruttando, vivo anche la consapevolezza di scrivere bene, di avere una penna fluida. Anche se non vincerò: come si dice in latino, non sum digna. Però ti posso dire meglio come mi sento? Hai presente quando si è in barca e si va, si accetta il mare che c'è?».

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