Le interviste impossibili, Libero Bovio: «Fra Pavarotti e Turturro le mie canzoni mi piacciono ancora»

L'autore: a 17 anni fu bollato come sovversivo

Libero Bovio
Libero Bovio
di Gigi Di Fiore
Lunedì 21 Agosto 2023, 10:22
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Il suo nome è Libero o Liberato?
«Per me è indifferente. Mio padre, che come sapete era un fervente repubblicano, per vezzo chiamò mio fratello Corso, a sottolineare che la Corsica era di tradizioni italiane, e a me diede un nome che richiamava il suo ideale di libertà. Che volete farci, siamo stati sempre originali in famiglia».

Com'è la storia delle sue schedature alla polizia come «sovversivo»?
«Ero giovane, fui etichettato dalla polizia poeta e scrittore socialista e repubblicano. Avevo solo 17 anni, ma era l'anno dell'uccisione del re Umberto I. La cosa più grave che feci fu gridare viva la repubblica sociale. Ma credo che fui guardato con sospetto, anche dal fascismo, per le idee di mio padre».

Che pensava del fascismo?
«Sapete bene che non firmai il manifesto del filosofo Gentile, come fecero subito Di Giacomo e Ernesto Murolo. In verità, non firmai neanche il manifesto di Benedetto Croce. Non ero né pro, né anti. La verità è che ho sempre creduto nella libertà interiore.

E, soprattutto, nell'arte».

Fu lei, alla loro morte, a ricordare Scarpetta e Ferdinando Russo?
«Lo sapete? Sì, di Eduardo Scarpetta dissi che con lui scompariva l'ultimo sorriso del mio paese. Su Ferdinando Russo, che per me era un amico vero, scrissi sul Mattino che era stato poeta grandissimo. E ricordai la sua rivalità con Di Giacomo, invitando don Salvatore a dire la parola definitiva su quel suo fratello d'arte che l'aveva amato con devozione».

Scrisse anche su Di Giacomo quando morì?
«Andai ai suoi funerali. Di lui, sul Mattino scrisse Riccardo Forster. Sapete che gli preferivo Ferdinando Russo. Ma erano preferenze mie, personali».
Eppure tra lei e Di Giacomo esistono analogie biografiche. Non è così?
«Alludete alla mancata carriera di medico, vero? Mia madre Bianca mi voleva chirurgo. In sala operatoria con un mio cugino medico, caddi subito tra le braccia erculee di due infermieri. Svenuto. Mia madre capì e, sotto sotto, mi raccomandò a Amedeo Angiolillo per farmi collaborare con il giornale Don Marzio. Amavo scrivere».

Guadagnava bene al Don Marzio?
«La paga era di due lire, ma mia madre ci metteva la differenza di nascosto. Arrivavo a 7 e anche 15 lire. Durò poco».

E l'altra analogia biografica con Di Giacomo?
«Don Salvatore andò a lavorare alla Biblioteca nazionale, io al Museo archeologico. Ma Di Giacomo, più grande di me di 23 anni, era già famoso quando io iniziai a comporre versi».

Vero che Pirandello fu un suo ammiratore?
«È una bella storia. Il maestro Luigi venne a Napoli con Marta Abba e sentì la mia "Silenzio cantatore". Comprò la copiella di quei versi e mandò un biglietto a mia moglie Maria, che ho sempre conservato. Diceva così, sentite bene: Cara signora, se nel piatto d'una bilancia mettessimo i miei Sei personaggi in cerca d'autore e nell'altro piatto Silenzio cantatore, creda a me non ci sarebbero squilibri. Sono le due cose più sconvolgenti che mi è capitato di leggere da un paio d'anni a questa parte».

Chi preferiva tra i compositori delle musiche per le sue canzoni?
«Erano tutti bravi e il successo di quelle canzoni si deve anche a loro. Musicisti cui mi legai molto, come Salvatore Gambardella, Rodolfo Falvo, Ernesto De Curtis, Nicola Valente, Ernesto Tagliaferri, Evemero Nardella, Gaetano Lama. Anche a loro devo il successo di canzoni come Chiove, Guapparia, Surdate, O marenaro, Tu ca nun chiagne, O paese d' o sole, Zappatore, Reginella, Signorinella».

Sa che una sua canzone ha dato il titolo a un film famoso?
«Sì, allude a Passione di John Turturro. Da oltre 100 anni le mie canzoni sono state interpretate da artisti famosi. Anche da tenori come Luciano Pavarotti, per non parlare di Enrico Caruso».

E tra i suoi primi interpreti chi prediligeva?
«Ce ne furono tanti. Li sceglievo io e li valorizzavo. Tra i miei preferiti c'era Gennaro Pasquariello, tra le donne Gilda Mignonette».

Deve molto ai tedeschi?
«Vi riferite al primo sostanzioso contratto della casa editrice "Polyphon Musikwerke". Mi procurò bei guadagni, che la guerra interruppe. Ma approdai all'editrice Canzonetta prima e alla Santa Lucia poi. Infine, con Tagliaferri, Valente e Lama, fondai la Bottega dei 4 a via Roma. Che ricordi».

Grazie. Vuole aggiungere qualcosa?
«Sì, vi dice niente il verso Je so' napulitano e si nun canto moro? È il verso della mia Surdate che i miei figli Aldo e Bianca vollero sulla targa affissa sotto casa a via Duomo il 26 maggio 1992. Che cerimonia, il mio meticoloso biografo Pietro Gargano scrisse un libricino che è una perla. Ma che fine ha fatto la mia casa piena di cimeli e ricordi, non è diventata un museo? Napoli dimentica. Eppure, prima di morire, scrissi a mia moglie: Salutammella Napule pe' me. Dille ca è stata a passione mia».

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