«Naso di cane» ritorna con Homo Scrivens

Naso di cane non farà una bella fine, come il suo autore, morto in solitudine lontano da tutto e tutti

Luca De Filippo in una scena di «Naso di cane»
Luca De Filippo in una scena di «Naso di cane»
di Ugo Cundari
Domenica 27 Novembre 2022, 10:02
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Un uomo entra in un pub di Chiaia. Un occhio alla moto parcheggiata fuori e uno ai ragazzetti nel locale. Arriva quello con il quale ha un appuntamento di lavoro. Gli porta il pacchetto con venti milioni di lire. Il patto è stretto. C'è da uccidere un infame a Milano. L'omicidio deve essere eclatante, il committente vuole che ne parli la stampa.

L'avete riconosciuta? È la trama sviluppata nelle prime pagine di un romanzo e di un autore dimenticati, Naso di cane di Attilio Veraldi. Il nuovo editore, il quinto dalla sua uscita nel 1982, è Homo Scrivens (pagine 338, euro 18), che lo pubblica a vent'anni dall'ultima uscita.

La prima è stata Rizzoli, per la quale Veraldi traduce autori come Raymond Chandler, Dashiell Hammett, Kurt Vonnegut, Hubert Selby Jr. Qualcuno dice che le sue non sono semplici traduzioni ma riscritture capaci di impreziosire gli originali.

L'allora direttore editoriale, Mauri Spagnol, vide in lui la stoffa del grande autore e lo spinse a scrivere. Veraldi esordì nel 1978, a cinquant'anni, con La mazzetta. Nel 1980 firmò Il vomerese e poi Naso di cane, che ebbe un grande successo, tanto che Pasquale Squitieri nel 1986 ne trasse la prima serie televisiva italiana di ambiente camorristico (è visibile gratuitamente su Raiplay), interpretata da Nigel Court, Luca De Filippo, Claudia Cardinale, Nancy Brilli. 

Veraldi morì il 5 marzo 1999, a 74 anni. È stato un irregolare, un apolide. Presto lasciò Napoli per Milano, Stoccolma, Rio de Janeiro, San Francisco. A Port of Spain (Trinidad) sbarcò con la vaga promessa di andare a fare il segretario di un misterioso personaggio orientale di professione tour operator e, pare, console italiano. Visse la gloria come una improvvisa accelerazione della Guzzi modello California amata da Naso di cane. Breve e intensa. Poi fu risucchiato nell'oblio. Il motivo è semplice. Ambientava le sue storie a Napoli ma non cedeva mai alla macchietta, al folcloristico. Per questo ha sempre pagato pegno. Eppure aveva tutte le caratteristiche del grande. Uno stile pulito, una sintassi semplice, sorvegliata, mai sciatta. I personaggi, buoni o cattivi, sono da noir, inquieti, disperati, dai tratti distintivi lugubri, macabri. Ciro Mele, alias Naso di cane, ha «la morte dipinta in faccia». Il commissario ha «due zigomi sporgenti sulle guance incavate che gli creano sul viso due ombre spettrali». Il capo di una famiglia di camorristi è un imprenditore di pompe funebri. Il capo dell'altra famiglia è «una mosca d'uomo» convinto di vivere in un mondo abitato da cannibali. Gli ambienti sono bui, le atmosfere cupe. I corpi hanno dettagli, più o meno vistosi, di apparente decomposizione. Ovunque c'è puzzo di carcassa. Sullo sfondo una Napoli che lotta contro le rappresentazioni false, oleografiche, che sporcano l'autenticità di una città inafferrabile. Emblematica la scena in cui uno dei personaggi riceve «una cartolina con una bella veduta di Napoli, con il pino e il Vesuvio, il mare azzurro e tanti altri colori. Dietro, con una calligrafia piena di svolazzi, senza data, c'è scritto: Manteniamoci puliti». Pino e Vesuvio vanno bene per vendere cartoline. La Napoli vera, la vita vera, è sangue, merda, fango, Daniele ha da poco chiarito cosa Napule è e che cosa non è. Nella non Napoli di Veraldi, Naso di cane si accorge di aver sbagliato ad accettare l'incarico. È una trappola. Una delle due famiglie di camorra lo vuole morto. In tangenziale una banda di motociclisti lo aggredisce con i ganci dei macellai. Lui ha un'unica alleata, «una ragazza di falò», zona bivio di Mugnano, di cui si è innamorato. Sulle sue tracce c'è anche la polizia. Naso di cane non farà una bella fine, come il suo autore, morto in solitudine lontano da tutto e tutti, a Monte Carlo, le ceneri disperse, per sua espressa volontà, al largo delle acque monegasche. Tocca a noi lettori dargli nuova vita e riconscergli il ruolo di papà del giallo e del noir napoletano, e italiano, oltre che delle serie tv sulla camorra. 

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