Premio Strega ad Ada d'Adamo: «Le sue parole resteranno a lungo»

La scrittrice che non c'è più ricordata dagli amici di Napoli

Ada d'Adamo
Ada d'Adamo
di Ugo Cundari
Sabato 8 Luglio 2023, 08:08 - Ultimo agg. 16:29
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«Le sue parole cammineranno a lungo», ha detto Alfredo Favi marito di Ada d'Adamo, la scrittrice scomparsa a 55 anni il primo aprile scorso, due giorni dopo essere entrata nella dozzina del più ambito riconoscimento letterario italiano. Quel Premio Strega che ha vinto giovedì notte con Come d'aria (Elliot), il suo potente libro d'esordio: autobiografico, drammatico, bellissimo.

«Questo è un premio inaspettato e meritato», ha sottolineato Favi, emozionatissimo, alla cerimonia di premiazione in Villa Giulia.
Una ventina di giorni prima di essere ricoverata in ospedale e andare incontro al suo destino di morte, Ada d'Adamo decise di concedersi il suo ultimo viaggio a Napoli, città alla quale era profondamente legata, dove aveva lavorato insieme al regista Mario Martone, del quale ha curato Chiaroscuri, scritti tra cinema e teatro (Bompiani, 2004), e dove aveva trovato l'amore innamorandosi di Alfredo Favi, grafico pubblicitario e art director di Arkè, una delle più quotate agenzie pubblicitarie italiane.

Sergio Marra, giornalista e ufficio stampa del teatro Mercadante, fu proprio lui a presentare Ada ad Alfredo, suo grande amico. Di quell'ultima venuta a Napoli ricorda tutto: «Ada prese il treno da sola e appena arrivata subito volle essere rassicurata sugli appuntamenti fondamentali per lei quando arrivava in città. Pranzare in trattoria con pasta e vongole, farsi una scorpacciata di cioccolata da Gay-Odin, andare a teatro, e quella volta assistette a "Medea una madre" diretto da Liv Ferracchiati con Francesca Cutolo attrice sua grande amica, e poi passeggiare per respirare l'atmosfera partenopea».

D'Adamo amava l'ironia, la leggerezza, la prontezza a sbeffeggiare, la faccia tosta dei partenopei.

Adorava alcune espressioni gergali e ammetteva di essere soggiogata dall'intraprendenza dei napoletani, che lei riteneva loro caratteristica fondante, anche se a volte arrivava a imbarazzarla. «Ogni volta che era a Napoli si sentiva a casa», continua Marra: «È stata una delle tante donne adottate dalla città: si sentiva una napoletana per meriti acquisiti. Se penso che dopo neanche un mese sarebbe morta, mi sorprendo a pensare quanta energia avesse, e penso che questa energia la prendesse proprio dalla città, che qui veniva per ricaricarsi».

La prima volta venne, agli inizi degli anni Duemila, fu per collaborare come curatrice editoriale alle pubblicazioni legate al progetto «Petrolio» di Martone. In quell'occasione conobbe il suo futuro marito: con lui abitò a Posillipo per un lungo periodo, ma la zona di Napoli che più frequentava era quella intorno al teatro Mercadante.

«La scrittura di Ada, quando ci conoscemmo era già di altissimo livello», ricorda Mario Martone: «L'ho incontrata quando ero direttore del Teatro di Roma, assieme a molte altre persone che poi l'hanno sostenuta in questi ultimi tempi, con il suo libro. Però credo che proprio a Napoli si sia perfezionata, quando intervistava gli attori e rendeva il loro pensiero chiaro, cristallino, nitido, facilmente comprensibile da tutti, ma sempre senza perdere profondità», racconta il regista sottolineando anche le doti da danzatrice della d'Adamo, che qui a Napoli aveva un gruppo di amici che con lei condividevano la passione per il ballo. «Era una persona molto speciale. La qualità che ho sempre apprezzato in lei era la grazia: un dono che comunicava a tutti». Martone confessa che il libro all'inizio gli era sembrato un po' ostico: «Prima di decidermi a leggerlo ho atteso molto, ma poi mi ha aperto lo sguardo sulla vita, sugli esseri umani, sulla società, su tante cose ingiuste del nostro Paese. Ada non era vittimista, voleva parlare di sé e parlarne a voce alta.Il suo è un libro lucido, teso, forte, politico».

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Soprattutto è un caso editoriale, che ha portato alla ribalta la piccola casa editrice Elliot. Un libro che altri editori avevano rifiutato perché difficile, fuori dai canoni di genere, «ma quando l'ho letto mi sono resa conto che era meraviglioso, fuori dall'ordinario, e che lo volevo assolutamente pubblicare» dice Loretta Santini, direttore editoriale di Elliot. E continua: «Quando mi hanno portato il manoscritto, ho chiesto di incontrarla. Il libro era praticamente perfetto, ma chi era lei, di cui non avevo sentito mai parlare, e scriveva così bene? Ma Ada era così, una persona estremamente precisa, con un grande senso della professionalità. Era anche molto elegante, mai moralista. Il libro le somiglia molto».

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