Non solo Brexit, uno squilibrio che minaccia la tenuta Ue

di Giulio Sapelli
Giovedì 21 Aprile 2016, 23:58
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«La Bce obbedisce alle leggi, non ai politici e il nostro mandato vale per l’intera Eurozona, non per la sola Germania». Mai, prima di ieri, Mario Draghi era stato così fulminante, così diretto contro le pretese tedesche. L’asimmetria che fin qui ha governato la politica finanziaria dell’Unione Europea si sta pienamente rivelando per lo squilibrio che rappresenta: esiste certamente una banca centrale europea che con l’euro ha sottratto la sovranità monetaria alle singole nazioni, ma nello stesso tempo queste ultime si dislocano nell’ordine degli anelli di potere che determinano le politiche economiche in tutta l’Europa in forme differenziate e, appunto, asimmetriche. La prova è evidente sol che si pensi al surplus del commercio estero che caratterizza la Germania, surplus reso possibile dalla politica d’austerità e di non crescita che essa di fatto impone a tutti gli altri stati, consentendo al suo Minotauro di nutrirsi dei bassi salari e del basso prezzo delle merci che essa importa, così da garantirsi un ruolo dominante nei flussi del commercio estero. Questa politica, è ormai un sentito comune, ci ha fatto sprofondare nella deflazione dalla quale per ora non si vede l’uscita. E che impensierisce ormai tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti che non tollerano più di vedere sconfitti i loro disegni neo-imperiali da un’Europa costantemente in recessione.

Il governatore Draghi, dalla sala di comando della Bce, ha sempre contestato questa politica con manovre di espansione della base monetaria perseguite attraverso una numerosa serie di tecniche che è superfluo qui ricordare. Giova però sottolinearne l’esplicito carattere di polemica con l’ordoliberalismo tedesco che sino ad ora egli aveva sviluppato più con le azioni che non con le esternazioni. Il fatto che ieri si sia scagliato apertamente contro la politica tedesca che recentemente si è resa manifesta sino al punto di attaccare la stessa indipendenza della Banca centrale, suscitando la difesa di Draghi persino da parte del falco Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, la dice lunga sul clima di tensione che si è instaurato. Weidmann sa molto bene che probabilmente dopo la Bce toccherà alla stessa Bundesbank, e questo perché ormai le critiche hanno raggiunto il calor massimo, avendo come protagonisti non solo il solito ministro delle Finanze tedesche Wolfgang Schäuble, ma anche i socialdemocratici di Kurt Beck, sempre più critici per la rivolta che la politica dei tassi di interesse negativi ha suscitato nei risparmiatori tedeschi che si son visti colpiti direttamente.

Ecco l’asimmetria, lo squilibrio. C’è una sola moneta unica e questa impedisce svalutazioni competitive e in mancanza della possibilità di agire sui cambi la Bce cerca di contrastare la deflazione stampando euro a più non posso e al contempo favorendo in ogni modo le esili politiche bancarie dirette a garantire credito alle famiglie e alle imprese. Ma è proprio su quest’ultimo punto che si è giunti al colmo e la goccia ha fatto traboccare il vaso. Oggi inizia la periodica riunione dell’Ecofin e i delegati tedeschi hanno annunciato che nel corso del confronto chiederanno alle banche italiane - sì alle banche di quel paese discolo e irrispettoso che troppo critica l’austerità e predica con Matteo Renzi la crescita - ebbene proprio a quelle banche si chiederà di fissare un tetto al possesso dei titoli di Stato emessi dal Tesoro italiano, colpendone duramente, se ciò avvenisse, gli stati patrimoniali e dunque la loro stabilità.

Una manovra di questo tipo, che ha già suscitato perplessità da parte della Francia e certo sarà oggetto di severa discussione, imporrebbe alle banche italiane aumenti di capitale a più non posso e ne danneggerebbe gravemente quella stabilità che in ogni modo si cerca di perseguire, come recentemente è accaduto con il varo del Fondo Atlante, diretto appunto a sostenere le banche e indirettamente i risparmiatori. La partita, insomma, sta raggiungendo il punto massimo con una rapidità e una drammaticità inaspettate.

Se si pensa che mentre tutto ciò accade, sotto i nostri occhi si svolge la terribile vicenda dei migranti e si assiste alla preclara incapacità europea di farvi fronte, chiunque può capire che sono le stesse fondamenta della Ue a essere messe in discussione. Per non dire dei rischi connessi al referendum inglese sulla Brexit, il cui esito è davvero capace di condizionare la tenuta dell’Unione monetaria: sarebbe drammatico se quest’edificio, così imponente e meraviglioso nella sua tradizione culturale, venisse ora messo in discussione per il risorgere del nazionalismo economico che è sempre stato una fonte di sciagure non solo in Europa ma in tutto il mondo. Bene ha fatto perciò Draghi a lanciare quel duro monito all’indirizzo di Berlino, un monito che dovrebbe essere fatto proprio da tutti i governi di buona volontà che con tanto sacrificio, soprattutto dei cittadini-contribuenti, hanno fin qui retto questo primo brandello di Unione europea.

 
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