La speranza dei dipendenti pubblici di ottenere la liquidazione in tempi brevi e certi si è di nuovo infranta sullo scoglio dei conti. Con una nota di poche righe inviata alla Commissione lavoro della Camera, la Ragioneria generale dello Stato ha chiesto di fermare le proposte di legge bipartisan (una è firmata Cinque Stelle e l’altra Forza Italia, ma con il sostegno di tutta la maggioranza) per ridurre da un anno a tre mesi il tempo di pagamento della prima rata del Tfs, il trattamento di fine servizio degli statali, aumentando anche l’importo di questo primo versamento da 50 mila fino a 63.600 euro.
I calcoli
Secondo i calcoli effettuati dall’Inps, la misura avrebbe un costo soltanto per quest’anno di 3,8 miliardi di euro.
La sentenza
Ed in effetti a chiedere al governo e al Parlamento di intervenire sui ritardi di pagamento del Tfs era stata qualche mese fa la Consulta. I giudici supremi avevano pesantemente censurato le norme che permettono di ritardare il pagamento della liquidazione ai dipendenti dello Stato. Oggi il versamento della liquidazione arriva dopo un anno e a rate. La prima può coprire al massimo 50 mila euro, la seconda, dopo altri dodici mesi, fino ad un massimo di 100 mila euro e la terza, dopo ancora un anno, per la parte restante. I tempi però, si allungano ancora se il dipendente lascia il lavoro con uno scivolo pensionistico come Quota 100, Quota 102 o Quota 103 e, dunque, il ritardo può arrivate anche a cinque anni. Un differimento per il quale, tra le altre cose, lo Stato non riconosce interessi. L’Inps, nella sua relazione tecnica depositata in Commissione lavoro, ha spiegato che l’importo medio lordo dei cessati per vecchiaia o limiti di servizio è di 82.400 euro, quello per dimissioni è di 74.100 mentre quello per decesso, inabilità è di 66.800. L’importo medio lordo delle cessazioni per fine incarico (tipicamente Tfr per fine impiego dei supplenti della scuola) è pari a 1.800 euro. Nella loro sentenza, pronunciata dopo un ricorso del sindacato Confsal-Unsa, i giudici della Consulta, hanno spiegato che il differimento della corresponsione della «liquidazione», ovvero del trattamento di fine servizio ai dipendenti pubblici che cessano l’impiego per aver raggiunto il limite di età, è incompatibile con la Costituzione e il suo principio di giusta retribuzione.
Le bocciature
La Corte aveva bocciato anche le soluzioni introdotte fino a questo momento, come l’anticipo da parte delle banche con interessi “calmierati” ma che comunque ormai hanno raggiunto il 4 per cento. «Ancora una volta», dice Massimo Battaglia, segretario generale di Confsal-Unsa, «i dipendenti pubblici sono utilizzati come un bancomat per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici. Un’ingiustizia certificata da una sentenza della Consulta alla quale ancora una volta non si riesce a porre rimedio». Ma mentre la proposta sull’anticipo dei tempi del Tfs per tutti i dipendenti pubblici è stata bocciata dalla Ragioneria, si attende il riscontro su un altro progetto pendente in Commissione difesa. Una legge firmata dal deputato leghista Anastasio Carrà, che prevede di versare il Trattamento di fine servizio ai militari, in un’unica soluzione. Costo dell’operazione? Circa 800 milioni di euro. Ma anche qui sarà necessario acquisire prima il parere dei tecnici del ministero dell’Economia. E il precedente della Commissione lavoro non lascia molte speranze.