Whirlpool via da Napoli, ultimatum di Di Maio: «Dietrofront o basta aiuti»

Whirlpool via da Napoli, ultimatum di Di Maio: «Dietrofront o basta aiuti»
di Francesco Lo Dico
Domenica 2 Giugno 2019, 09:30
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Whirlpool leva le tende e lascia sul lastrico 420 lavoratori napoletani, che potrebbero salire a più di mille se si considerano le imprese dell'indotto. La notizia è piombata sul ministero dello Sviluppo con la stessa irruenza di un macigno. Appena sette mesi fa, l'accordo quadro siglato dal Mise con la multinazionale e i sindacati che prevedeva il salvataggio di 792 lavoratori a rischio licenziamento a carico dello Stato e un piano industriale triennale da 250 milioni a carico dell'azienda, era stato salutato da Luigi Di Maio come un trionfo personale: «Siamo riusciti a ottenere zero esuberi e un ritorno delle produzioni dalla Polonia all'Italia», aveva annunciato su Facebook il 25 ottobre. Ma l'improvvisa retromarcia del colosso degli elettrodomestici ha lasciato di sale il ministro, che è montato su tutte le furie. «È una truffa, un'assurdità. Whirlpool ha tradito la fiducia del governo», sarebbe stato lo sfogo consegnato ai suoi più stretti collaboratori.
 
Incollerito, il vicepremier ha perciò alzato da subito l'asticella dello scontro. «Su Napoli non accetteremo passi indietro è stato il diktat filtrato a caldo e se Whirlpool non cambia atteggiamento il ministero dello Sviluppo è pronto a ridiscutere l'intero piano industriale». Il senso della minaccia è chiaro: se l'azienda lascia Napoli, il governo è pronto a togliere dal piatto i fondi per la cassa integrazione straordinaria che il ministero si è impegnato a versare fino al 31 dicembre 2020 per scongiurare quasi 800 esuberi su un totale di 6300 lavoratori, nell'attesa che le maestranze possano essere interamente riassorbite negli otto stabilimenti italiani di Whirlpool, una volta completato il piano industriale.

Ma al di là di quella che al Mise derubricano a «forzatura mediatica», al tavolo convocato per martedì Di Maio farà di tutto per evitare di andare al muro contro muro.

«Valuteremo ogni azione utile per ridiscutere tutto e scongiurare azioni unilaterali dell'azienda, sono aperte tutte le ipotesi ma l'obiettivo primario è tutelare i lavoratori con ogni mezzo», è la chiosa sibillina che arriva dal ministero.

Dalle prime ricognizioni delle carte, i tecnici del Ministero hanno tratto indicazioni confortanti. L'accordo siglato il 25 ottobre con il Mise prevede esplicitamente l'impegno dell'azienda a mantenere su tutti gli 8 siti «l'attuale presenza industriale sul territorio», che comprende esplicitamente nel piano industriale 2019-2021 lo stabilimento di Napoli. Violare l'intesa su Napoli equivale dunque a violare l'intero protocollo, è il ragionamento che affiora al Mise.

Peraltro, per quanto riguarda lo stabilimento di via Argine, l'accordo prevede nero su bianco che «il sito conferma la sua missione produttiva di lavatrici a carica frontale di alta gamma» da fabbricare in loco «nella prima metà del 2020», una volta trasferita la filiera di Comunanza, che punterà invece sulle lavasciuga. Per realizzare il trasloco produttivo, Whirlpool si impegna pertanto a investire a Napoli 17 milioni di euro in tre anni «tra prodotto, processo, ricerca e sviluppo». «Come è possibile quindi che l'azienda consideri dopo neppure sette mesi i volumi e i piani per lo stabilimento insostenibili, se ancora non ha investito sull'obiettivo che ha dichiarato di voler raggiungere nel 2020?», argomenta il senatore napoletano del M5s, Sergio Vaccaro, che martedì sarà al tavolo con l'azienda come membro della commissione Industria.

Carta canta: quella di Whirlpool appare al Mise come una palese violazione dell'accordo. Ma quali sono in concreto le armi che Di Maio potrebbe imbracciare se la multinazionale dovesse andare dritta per la sua strada? Il sospetto emerso in queste ore è che l'azienda voglia delocalizzare parte della propria produzione in Polonia. Ma di certo, appare già da adesso impercorribile la strada del ricorso al decreto dignità. La legge, in vigore da novembre, è successiva all'accordo stretto con Whirlpool a fine ottobre. Imporre dunque all'azienda la restituzione con gli interessi degli aiuti di Stato previsti sotto forma di ammortizzatori sociali fino a fine 2020, in aggiunta a sanzioni che possono arrivare per legge a quattro volte gli importi erogati, non è possibile. Più plausibile è semmai l'impugnazione dell'accordo sottoscritto dall'azienda. In queste ore i tecnici del Mise valutano anche una possibile azione di risarcimento da intentare contro Whirlpool in caso di mancata risoluzione della crisi. Ma in subordine, c'è nell'aria la minaccia di chiudere il rubinetto di Stato. Se riavere indietro le somme stanziate finora per gli ammortizzatori è pressoché impossibile, Whirlpool potrebbe vedersi tagliati i fondi previsti per la cig fino alla fine del 2020. L'azienda finirebbe spalle al muro, è vero. E avrebbe l'alibi per emigrare altrove. Ma tutto questo avverrebbe a spese dei lavoratori. E questo non può permetterselo Di Maio, e neppure il Paese.
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