Yara, il pm: "Indagini difficili, inizi da incubo".
Da via Poma in poi, i dubbi sul test del Dna

L'arresto di Massimo Bossetti
L'arresto di Massimo Bossetti
Venerdì 20 Giugno 2014, 12:08 - Ultimo agg. 12:09
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BERGAMO - Francesco Dettori, procuratore di Bergamo, ha definito «aride e stupide» le polemiche sui milioni di euro spesi durante le indagini per il caso dell'omicidio di Yara Gambirasio. «Per trovare la verità sul caso di una ragazza di 13 anni non si bada a spese», ha detto il magistrato in una conferenza stampa. «Non ci sono state contraddizioni nel percorso investigativo basato su una linea operativa strettamente scientifica, dall'individuazione della madre del presunto autore fino all'individuazione della persona che conoscete», ha detto.







IL PM: INDAGINE FATICOSISSIMA «È stata un'indagine faticosissima, ma ogni giorno qualche tassello andava a completare il puzzle», ha aggiunto il magistrato che coordina le indagini sul caso Yara, Letizia Ruggeri. «Non avete idea di quanta fatica è stata fatta in un'indagine a elenchi, con nessun testimone e ben poche telecamere funzionanti. Nei primi mesi è stato un incubo».



Dopo i primi tre mesi «da incubo», il ritrovamento del cadavere di Yara ha dato una svolta alle indagini: «È stato di un grande aiuto, come è noto i cadaveri danno informazioni e sapere che sugli slip è stato localizzato questo Dna. A questo punto il Dna è stato il faro alla luce del quale proseguire le indagini». «Dopo aver riesumato il cadavere di Guerinoni, non abbiamo avuto più nessun dubbio sul fatto che fosse il padre del soggetto che stavamo cercando».



I DUBBI SUL TEST DEL DNA Nell'inchiesta sull'omicidio di Yara Gambirasio gli innocentisti provano a sollevare dubbi sull'infallibilità del Dna.
La traccia genetica non sempre dà certezza di prova, è convinta Silvia Gazzetti, legale di Massimo Bossetti, sospettato di essere l'assassino, ma anche avvocati come Carlo Taormina e Giulia Bongiorno, come emerge da interventi e interviste rilasciate ad alcuni dei principali giornali italiani.



IL PRECEDENTE DI VIA POMA Il Dna, spiega alla Stampa Silvia Gazzetti, non sempre è una prova insormontabile: "Nel caso di via Poma non è stato così". Dello stesso avviso il medico legale Giovanni Arcudi, che si occupò proprio del caso di via Poma, che al Secolo XIX sottolinea che il dna "non basta per poter vincere un processo". "Il dna sugli indumenti di Yara è del figlio di Guerinoni e di Ester Arzuffi", precisa, "sappiamo solo che c'è una piccola traccia organica di quell'uomo sulla scena del delitto. Questo non ci dice nulla di più. Lui nega tutto e ora toccherà agli investigatori ricostruire tutto un contesto".



DNA COME INDIZIO Intervistata dal Giornale, Giulia Bongiorno - difensore di Raffaele Sollecito per l'omicidio di Meredith Kercher - sottolinea che il Dna "è un indizio, non una prova schiacciante". "Esiste un gigantesco equivoco - aggiunge -: che il Dna sia la fotografia di una situazione. Non è così. Non è una foto, ma un qualcosa che viene estratto dagli indumenti e porta a creare un elettroferogramma. Una traccia che presenta dei picchi, come un elettrocardiogramma. E come tale dev'essere interpretato, in un modo o nell'altro".



Della valenza del Dna parla anche Carlo Taormina, che fu difensore di Annamaria Franzoni nel caso Cogne, con un intervento sul Tempo in cui scrive la storia di Yara Gambirasio è "incredibile": "si continua a sbattere in galera la gente, ieri Fikri e oggi Bossetti, senza far caso ad altro che non sia la prova scientifica che tale non potrà mai essere perché in tutti i processi penali la prova è probabilità di comportamenti e non soltanto dei dati tecnici".





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