È in arrivo sul binario - sempre un po’ agitato viste le tensioni che attraversano il Governo - della Commissione Bilancio della Camera il salva-Napoli «e altri 1000 comuni» ricorda l’ex viceministro al Bilancio la grillina Laura Castelli. Tra cui alcuni grossi e politicamente molto marcati, come per esempio Torino della sindaca del M5S Chiara Appendino. Una misura che il Governo si appresta a varare nel Milleprorghe, con un emendamento all’articolo 39 targato Pd e M5S, che congela la pronuncia della Corte Costituzionale di appena una ventina di giorni fa. Con la quale la Corte dichiara «illegittimo l’utilizzo dell’anticipazione di liquidità per ripianare i debiti». Pronuncia che ha fatto lievitare il debito del Comune da 1,7 miliardi a 2,7.
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Materia ostica vale allora la pena spiegare come si arriva a questo emendamento. Il caso Napoli sbarca alla Corte Costituzionale in seguito a una diversa interpretazione data - secondo la Corte dei Conti - di un comma della legge di Bilancio del 2015 sull’utilizzo del Fal, acronimo che sta per «Fondo anticipazione liquidità», soldi che lo Stato eroga in via ordinaria ai Comuni e che Palazzo San Giacomo ha utilizzato per coprire un miliardo di debito. Il Comune - secondo la Corte dei Conti - ha coperto fonti di incasso difficilmente esigibili, come le multe, con i fondi ordinari. Questa la procedura censurata dalla magistratura contabile. Diverse interpretazioni che solo la Consulta poteva chiarire e infatti si è espressa in maniera chiara in favore della Corte dei Conti: «Le anticipazioni di liquidità sono utilizzabili dagli enti locali in senso costituzionalmente conforme solo per pagare passività pregresse iscritte in bilancio, in quanto sono prestiti di carattere eccezionale finalizzati unicamente a rafforzare la cassa quando l’ente non riesce a pagare le passività accumulate negli esercizi precedenti». In buona sostanza le anticipazioni servono per pagare i creditori negli esercizi correnti. L’effetto della sentenza per Napoli è stato la crescita di un miliardo del debito.
Bisogna partire da un presupposto per capire come si giunge al Salva-Napoli: lo Stato non ha i soldi per ripianare i debiti degli enti locali, la ratio dell’emendamento è quella di allungare i tempi di pagamento del debito stesso che gravano però sulle spalle dei cittadini. Che si ritrovano anche con le tasse più alte rispetto ai comuni virtuosi. A Napoli basta dare un’occhiata alla tassa sui rifiuti e aliquote Irpef per capire quanti sacrifici fanno i cittadini a fronte di servizi molto carenti. E l’emendamento va in questa direzione, quello dell’allungamento dei tempi: «L’importo del Fondo crediti di dubbia esigibilità - la posta di bilancio dove è stato piazzato dal Comune il miliardo di anticipazione dello Stato per coprire i mancati incassi di multe e canoni di locazione che hanno gonfiato le entrate - può essere ripianato in non più di 15 annualità a decorrere dall’esercizio del 2021». In questo modo il Comune tirerà a campare per l’anno in corso, cosa non scontata, con il «Piano di rientro dal debito» già in vigore dal 2013 per quanto bocciato dalla Consulta e dalla magistratura contabile. Con il quale paga una retta allo Stato di 91 milioni l’anno. Nel 2021 - tuttavia - a giugno si andrà al voto con l’attuale sindaco Luigi de Magistris non più ricandidabile.