Non è solo una storia edificante quella di don Riboldi, che fu vescovo di Acerra e grande protagonista della lotta di liberazione di tanti giovani contro la camorra nei primi anni 80, e la sua non è unicamente la parabola di un eroe civile.
No, il libro appassionante e a tratti commovente di Pietro Perone racconta anche - attraverso le vicende di Don Riboldi, 1923-2023. Il coraggio tradito, edizioni San Paolo - di quando la politica sapeva fare politica e i partiti vivevano della «connessione sentimentale», copyright Gramsci, con i cosiddetti soggetti sociali.
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I giovani
Perone, ora giornalista del Mattino, era tra i giovani che con il vescovo di Acerra si mobilitarono dalla fine dell'82, marciarono a Napoli, a Ottaviano, a Torre Annunziata e negli altri comuni martoriati dai clan e accesero una speranza, credettero insieme a don Antonio in una riforma possibile di cui ora purtroppo, nella Terra dei fuochi abbandonata a se stessa e martoriata dai clan, non c'è più traccia: la riforma del vivere civile.
C'è nel racconto di Perone la mobilitazione dal basso e c'è l'intreccio con i partiti (anzi con uno solo: il Pci berlingueriano) e con il sindacato di Luciano Lama.
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La cappa
L'incontro finisce con il leader che dice: «Non perdiamoci di vista». La questione morale, ossia la piena agibilità democratica dei cittadini e la pienezza dei loro diritti di libertà, erano in cima alle preoccupazioni di Berlinguer, dei ragazzi campani e del loro prete di strada, don Antonio. Poi però la cappa degli anni 80 sarebbe calata su quei territori e, tra luci e ombre, ancora li fa sentire prigionieri.