La difesa degli omosessuali e la sindrome guelfi-ghibellini

La difesa degli omosessuali e la sindrome guelfi-ghibellini
Lunedì 10 Maggio 2021, 23:55
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Gentile Direttore, se passasse la legge Zan, di cui tanto si discute, forse non si festeggerebbe neppure la Festa della Mamma, che abbiamo celebrato ieri come ogni mese di maggio. La legge Zan direbbe che è discriminatorio parlare di «mamma», perché molti bambini vivrebbero con due papà. Per non parlare dell’utero in affitto o della cosiddetta «gravidanza solidale», dove la donna, diventa una mamma e dopo aver portato suo figlio per nove mesi dentro al suo grembo, se lo ritrova strappato via. La donna non può essere un’incubatrice. Tutti i bambini vogliono la mamma, ma a loro nessuno crede. Molte femministe «doc» lo hanno capito, come hanno capito che l’ideologia «gender» è davvero nemica delle donne.

Gabriele Soliani
Napoli

Caro Gabriele, anche e soprattutto quando si parla di difesa delle libertà e dei diritti civili, mi perdoni il gioco di parole, mi piacerebbe ci fosse un dibattito civile. Stiamo invece assistendo alla solita Curva Nord contro la Curva Sud, costellata di «-ismi» e ideologie.

In Italia forse si dovrebbe fare prima una legge che obblighi alla disponibilità al dialogo e che ci liberi una volta per tutte dalla sindrome Guelfi-Ghibellini. Sindrome, mi perdoni ancora, in cui cade anche lei paventando addirittura la scomparsa dei festeggiamenti per la festa della mamma. La legge Zan nasce come aggravante penale per atti di violenza fisica e verbale diretti a uomini e donne omosessuali. Il confine deve essere ben definito perché non si vada a ledere un altro diritto inalienabile che è quello di opinione. Perché questa legittima legge vada in porto dunque serve che non ne vengano travalicati, i più che legittimi, obiettivi di partenza. Ovvero, per parlar chiaro, il fronte pro Zan non deve utilizzare questa legge come Cavallo di Troia per altri argomenti che nulla hanno a che fare con l’indispensabile argine da mettere alla violenza contro gli omosessuali. 

Federico Monga

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