Gentile Direttore de Core,
la notizia ha scosso il mondo. Navalny avrebbe potuto continuare una tranquilla esistenza da leader dell'opposizione all'estero ha scelto, invece, di tornare in patria, di scontare in carcere una pena ingiusta, di combattere fino alla fine la battaglia contro la dittatura. La sua morte, non diversa da quella di tanti altri dissidenti del periodo zarista e sovietico, è un inequivocabile atto d'accusa contro il despota Putin, che non ammette altri competitor, altri rivali. Ne è stata la prova la forte repressione verso chi con un fiore omaggiava la memoria di Navalny. C'è da sperare che il suo sacrificio serva a diffondere tra le giovani generazioni l'ideale della libertà, principio sempre disatteso dall'attuale autocrate. Un grande Paese, la Russia, agli inizi del terzo millennio, non può continuare a negare la libertà di pensiero, il diritto a dissentire. Putin vincerà le elezioni, ma il messaggio di Navalny non verrà cancellato.
Domenico Mattia Testa
Itri (Latina)
Il direttore risponde
Caro Domenico Mattia, lo ha scritto domenica scorsa, con la consueta profondità di pensiero, qui sul Mattino, Adolfo Scotto di Luzio: Aleksei Navalny ha preferito sfidare Putin, e quindi la morte a viso aperto, in nome delle sue idee, quelle da professare sul terreno franoso della madre patria - per stare tra la sua gente, con la sua gente - piuttosto che dalla tribuna di un esilio.