Navalny ci ha insegnato cosa vuol dire essere liberi

Domenica 25 Febbraio 2024, 10:00 - Ultimo agg. 24 Marzo, 10:10
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Gentile Direttore de Core,

la notizia ha scosso il mondo. Navalny avrebbe potuto continuare una tranquilla esistenza da leader dell'opposizione all'estero ha scelto, invece, di tornare in patria, di scontare in carcere una pena ingiusta, di combattere fino alla fine la battaglia contro la dittatura. La sua morte, non diversa da quella di tanti altri dissidenti del periodo zarista e sovietico, è un inequivocabile atto d'accusa contro il despota Putin, che non ammette altri competitor, altri rivali. Ne è stata la prova la forte repressione verso chi con un fiore omaggiava la memoria di Navalny. C'è da sperare che il suo sacrificio serva a diffondere tra le giovani generazioni l'ideale della libertà, principio sempre disatteso dall'attuale autocrate. Un grande Paese, la Russia, agli inizi del terzo millennio, non può continuare a negare la libertà di pensiero, il diritto a dissentire. Putin vincerà le elezioni, ma il messaggio di Navalny non verrà cancellato.

 Domenico Mattia Testa

 Itri (Latina) 

Il direttore risponde 

 

Caro Domenico Mattia, lo ha scritto domenica scorsa, con la consueta profondità di pensiero, qui sul Mattino, Adolfo Scotto di Luzio: Aleksei Navalny ha preferito sfidare Putin, e quindi la morte a viso aperto, in nome delle sue idee, quelle da professare sul terreno franoso della madre patria - per stare tra la sua gente, con la sua gente - piuttosto che dalla tribuna di un esilio.

In un non-luogo ai margini della civiltà, sepolto dai ghiacci, nel bianco infinito di un mondo privo di umanità, il dissidente si è armato solo con il coraggio degli ideali, offrendo di fatto in pasto allo "zar" la sua vita. Era solo questione di tempo, di giorni. Il finale era già scritto, in quella cella ritagliata da un passato tremendo, nella cornice mai dimenticata di epurazioni e gulag che ci rimandano alle testimonianze di Herling, di Solzenicyn. Un gesto consapevole, quello di Navalny, che sembra uscito dal Dostoevskij più cupo, dal più ispirato Tolstoj, dalla asciutta intelaiatura cechoviana; e che forse, nel flaccido Occidente, risulta lasciare una scia di incredulità, e quindi, per alcuni versi, essere incomprensibile. Nessuno dubita che si sia trattato di un omicidio ordinato da Putin; nessuno può credere alle ricostruzioni ufficiali, tanto burocratiche quanto false, con sfacciataggine spacciate come verità. Venerdì, su Repubblica, un grande intellettuale del nostro tempo, Bernard-Henry Levy, ha usato parole che sembrano intagliate su pietra: «Navalny era uno di quegli uomini di montagna che senza esaltazione, con saggezza, si issano al di sopra di sé stessi e diventano vertiginosamente più alti di sé». Libertà vo cercando...

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