Ucraina, l'ex analista del Sisde: «I servizi segreti sanno che Kiev non può vincere. La guerra finirà con uno scenario coreano»

Alfredo Mantici: «Il dossier degli 007 Usa è un messaggio all'Ucraina. L'intelligence preme per la mediazione»

L'ex analista del Sisde: «I servizi segreti sanno che Kiev non potrà vincere. L'intelligence preme per la mediazione»
L'ex analista del Sisde: «I servizi segreti sanno che Kiev non potrà vincere. L'intelligence preme per la mediazione»
di Marco Ventura
Venerdì 18 Agosto 2023, 22:12 - Ultimo agg. 19 Agosto, 06:52
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Un bagno nella realtà e un cambio di strategia, che passano attraverso le “soffiate” degli 007 ai media. Messaggi diretti da un lato alla Casa Bianca, dall’altro all’opinione pubblica occidentale. Così Alfredo Mantici, ex capo degli analisti del Sisde e oggi professore di Intelligence all’Unint di Roma, interpreta le ultime uscite sulla stampa americana riguardo agli scenari di guerra in Ucraina, dalla sfiducia dei servizi segreti Usa nell’efficacia della controffensiva di Kiev al numero esorbitante (mezzo milione) di morti e feriti russi e ucraini, passando per la proposta avanzata dal capo staff Nato di concedere all’Ucraina l’ingresso nell’Alleanza in cambio del cessate il fuoco e dell’avvio delle trattative con Mosca. «Il problema – dice Mantici – è che viviamo in una condizione di informazione di guerra».

E questo che cosa significa?
«Che l’informazione da un lato è funzionale a sostenere la causa dei buoni contro i cattivi, dall’altro è funzionale a sostenere la politica di chi sostiene i buoni contro i cattivi.

Tutti i giorni le strutture dell’Intelligence e quelle militari, e poi anche i media, si confrontano però anche con la realtà. Per oltre un anno e mezzo ci siamo sentiti dire che l’armata russa era lessa e che Putin era un pazzo ed era finito, come se l’Ucraina avesse ormai portato a casa la vittoria. Ho già vinto una cena con un illustre storico che il giorno della marcia di Wagner e Prigozhin su Mosca mi ha telefonato per dire che Putin era al capolinea».

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E invece?
«Invece, è arrivato il momento di confrontarsi con la realtà, quella che l’Intelligence conosce bene, e saggiare le reazioni dell’opinione pubblica a una verità che non è quella raccontata dalla propaganda. Il capo staff del segretario generale Nato giorni fa ha detto quel che ha detto, sull’inizio dei negoziati. La reazione con smentita ufficiale è stata immediata, il poveretto è stato messo all’angolo e costretto a una marcia indietro imbarazzante, per un tecnico di quel livello».

La realtà qual è?
«La guerra gli ucraini non la vinceranno mai, non riconquisteranno mai tutti i territori perduti, e questa sensazione comincia a farsi strada non solo a livello tecnico, ma anche politico. Allora si telefona all’amico giornalista che si presta a divulgare la cosiddetta “plausible deniability”, o negazione plausibile (la possibilità di negare qualcosa che sia stato detto o fatto da terzi di cui si ha la responsabilità, ndr). Attraverso le fonti anonime s’inizia a far digerire all’opinione pubblica occidentale l’idea che questa guerra non finirà con la caduta di Putin né con la marcia trionfale dell’esercito ucraino nella Piazza Rossa».

E come finirà?
«Con uno scenario coreano, una guerra congelata lungo una striscia di cessate il fuoco, magari per 70-80 anni. Secondo me, Putin non voleva invadere tutta l’Ucraina, non avrebbe impiegato 160mila uomini se per la sola città di Berlino Stalin ne schierò 200mila e per la Cecoslovacchia, nel ’68, furono 800mila. Putin voleva il Donbass e Mariupol, il collegamento via terra con la Crimea. È il momento di essere realisti. L’Ucraina non ha abbastanza uomini per riconquistare quello che ha perduto. Resistere fino all’ultimo uomo non ha senso, come non l’ha avuto accanirsi su Bakhmut, come l’Intelligence americana ha sottolineato. Per attaccare, bisogna che la proporzione non sia alla pari ma, come tutti sanno, di almeno 3 contro uno. La realtà di una guerra è come la gravidanza, oltre un certo limite non si può nascondere».

A parte l’opinione pubblica, a chi sono dirette queste indiscrezioni dell’Intelligence?
«Al presidente Biden. Questo è un modo per l’Intelligence di “spiegare” alla Casa Bianca come stanno davvero le cose. Poi agli stessi ucraini. Il primo che parli di pace nell’entourage di Zelensky è finito, a meno che non lo facciano il consigliere Podoljak o il ministro Kuleba. E loro due parleranno di pace solo quando saranno gli americani a dire di farlo. Come a Ferragosto di tre anni fa hanno detto agli afgani: grazie e arrivederci». 

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