Nato, ecco come la Russia ha svelato le sue crepe a 75 anni dalla nascita: ecco il piano per la nuova difesa dell'Alleanza

Fondata il 4 aprile 1949 con la firma del Trattato di Washington, la Nato ha avuto 12 Paesi fondatori, molti dei quali affacciati sull'Atlantico. Ora gli Stati membri sono 32

Nato, ecco come la Russia ha svelato le sue crepe a 75 anni dalla nascita: così l'Allenza vuole rafforzare la sua difesa
Nato, ecco come la Russia ha svelato le sue crepe a 75 anni dalla nascita: così l'Allenza vuole rafforzare la sua difesa
Simone Pierinidi Simone Pierini
Giovedì 4 Aprile 2024, 10:58 - Ultimo agg. 13:27
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«La Nato oggi è più grande, più forte e più unita che mai». Lo ha detto il segretario generale dell'Alleanza Jens Stoltenberg aprendo la cerimonia di festeggiamento dei 75 anni del Trattato Atlantico con la partecipazione dei 32 ministri degli Esteri alleati. Oltre al segretario generale, sul palco si alternano i ministri degli Affari Esteri di Albania, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia e Belgio (ovvero i nuovi membri sin dalla caduta dell'Urss nonché il Paese ospite). «Non credo negli Stati Uniti da soli come non credo nell'Europa da sola», ha aggiunto Stoltenberg. «L'Europa ha bisogno degli Usa per la sua sicurezza e gli Usa, grazie alla Nato, hanno più amici e partner di ogni altra potenza, e questo moltiplica la loro forza», ha aggiunto. «Io credo nell'America e nell'Europa insieme unite nella Nato, perché insieme siamo più forti e più sicuri». «Al principio avevamo 12 membri, oggi siamo 32. Dunque qualcosa di giusto lo stiamo facendo», ha concluso Stoltenberg strappando un sorriso ai partecipanti.

La Nato da 12 a 32 membri

Fondata il 4 aprile 1949 con la firma del Trattato di Washington, la Nato ha avuto 12 Paesi fondatori, molti dei quali affacciati sull'Atlantico, ma non solo: Usa, Regno Unito, Canada, Francia, Portogallo, Islanda, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Italia. Nel tempo si è allargata: nel 1952 entrarono Turchia e Grecia; nel 1955 la Germania Ovest, che tuttora ospita il grosso delle truppe Usa presenti in Europa; nel 1982 la Spagna, tornata alla democrazia dopo il Franchismo. Nel 1999 hanno iniziato ad aderire i Paesi dell'ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria; nel 2004 è stato il turno di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia; nel 2009 Albania e Croazia; nel 2017 il Montenegro; nel 2020 la Macedonia del Nord; nel 2023, dopo l'attacco della Russia che ha invaso su larga scala l'Ucraina, è entrata la Finlandia. Quest'anno è stata la volta della Svezia, che ha abbandonato la sua storica neutralità. Oggi i membri dell'Alleanza sono 32 e il suo focus geografico si è spostato progressivamente dall'area atlantica verso est.

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I quatto atti chiave

I 75 anni di storia della Nato possono essere descritti in tre atti, ciascuno definito da minacce esistenziali alla sicurezza occidentale. Innanzitutto c’è stata la Guerra Fredda e la minaccia sovietica. Il secondo atto si è verificato negli anni ’90 e 2000, quando l'Alleanza ha schierato truppe per la prima volta in Bosnia e Kosovo, seguite da Afghanistan e Iraq. Dal 2014 in poi, la prima invasione dell’Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin e dell’autoproclamato califfato dell’Isis ha riportato minacce armate ai confini dell’alleanza in un momento in cui gli Stati Uniti e i suoi alleati si stavano lentamente ritirando dal mondo. Il quarto atto della Nato potrebbe essere definito da una crisi che si è sviluppata al rallentatore. Per oltre un decennio, gli alleati hanno cronicamente sottoscritto le spese per la difesa, mentre gli avversari dell’Occidente hanno modernizzato e rafforzato le proprie capacità militari. Il modo più ovvio per comprendere l’impatto di ciò è attraverso l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022. Naturalmente, il maggior responsabile dell’invasione russa è lo stesso Putin. Ma le persone direttamente coinvolte nella politica di sicurezza occidentale affermano che gli avvertimenti sulla necessità di migliorare le difese sono stati trascurati a favore del pareggio dei conti sulla scia della crisi finanziaria del 2008. Rasa Juknevičienė, ministro della Difesa lituano dal 2008 al 2012, ricorda un incontro con funzionari statunitensi al Pentagono nel 2012 in cui individui «di tutte le parti, compresi gli Stati Uniti, hanno riconosciuto che la Russia sarebbe stata in grado di testare la Nato entro il 2019». Nonostante fossero consapevoli del rischio, nel 2014 solo tre degli allora 30 alleati furono in grado di raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil destinato alla spesa per la difesa. Nel 2019, quel numero era salito solo a sette. Parlando alla Cnn, Juknevičienė, ora membro del Parlamento europeo, ha dichiarato: «La Nato era assonnata negli anni 2010, concentrata sulla guerra al terrorismo piuttosto che sulle minacce regionali. La spesa per la difesa è rimasta bassa in tutto l’Occidente non solo a causa delle pressioni sul bilancio, ma anche perché tutti – compresi gli Stati Uniti – avevano paura di provocare la Russia».

Le conseguenze

Il sottofinanziamento dei bilanci della difesa per un lungo periodo ha molteplici conseguenze: dal numero inferiore di truppe alla scarsa manutenzione delle attrezzature.

Ma nel contesto della guerra in Ucraina, le scorte limitate e in rapida diminuzione di munizioni destinate all’Occidente da fornire a Kiev sono state forse le più dannose. «Una cosa è assolutamente certa: se gli alleati in Europa avessero raggiunto il loro obiettivo del 2% - in particolare la Germania - ci sarebbero molte più armi da fornire all'Ucraina senza indebolire la difesa dei propri Paesi», ha affermato sempre alla Cnn John Herbst, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina. «Forse - ha aggiunto - se ci fossero state più armi ci sarebbe stato un deterrente maggiore per Putin». La natura del sostegno degli alleati della Nato all’Ucraina – in gran parte supporto militare diretto – ha messo in luce la vulnerabilità che anni di sottofinanziamento hanno causato all’alleanza. Nel frattempo, la Russia ha espanso enormemente la propria produzione di munizioni e si è rivolto agli avversari occidentali, tra cui la Corea del Nord e Iran per armi aggiuntive. «Non c’è dubbio che gli Stati Uniti e i loro alleati non dispongano di industrie belliche che producano attrezzature sufficienti per una guerra tra grandi potenze», ha affermato Herbst.

Obiettivo 2% del Pil

Gli Stati Uniti sono il cuore pulsante della Nato e rappresentano il 70% della sua spesa militare (nonché l'unico Paese ad aver mai invocato l'articolo 5, dopo l'11 settembre 2001). I funzionari dell'Alleanza, spesso cinici e scettici, sono insolitamente ottimisti sul fatto che i governi di così tanti Paesi stiano prendendo più seriamente la spesa, in particolare per l’approvvigionamento di armi. Il leader del blocco, Jens Stoltenberg, a febbraio ha detto che si prevede che 18 dei suoi membri spenderanno quest’anno almeno il 2% del loro Pil nella difesa. Sono stati promessi miliardi di dollari, nonché piani da parte di singole nazioni per acquistare e aumentare la produzione di munizioni e armi. Ma la maggior parte dei piani elaborati dai funzionari sono in realtà a lungo termine: ci vuole tempo per costruire fabbriche e formare il personale.

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Il nuovo fondo per Kiev

Siamo alle battute iniziali, ma la Nato ha iniziato a studiare la possibilità d'istituire un fondo da 100 miliardi di euro (nell'arco di cinque anni) per assistere militarmente l'Ucraina. O meglio, è la proposta avanzata dal segretario generale Jens Stoltenberg, che apre la corsa al summit di Washington di luglio. I 32 alleati dovranno ora esaminarla. Ma non è tutto. C'è anche l'idea di sottrarre al formato di Ramstein - guidato dagli Usa e incardinato al Pentagono - parte dei suoi compiti e trasferire la sede a Bruxelles, al quartier generale militare di Mons. «Il razionale è di proteggere Kiev dai cambiamenti politici», nota una fonte alleata. Dunque, principalmente, il possibile ritorno di Donald Trump. Certo, assegnare gran parte del coordinamento delle forniture militari alla Nato per l'Alleanza significa «attraversare il Rubicone» ed essere potenzialmente accusata da Vladimir Putin d'imboccare la strada dell'escalation. «Putin distorce comunque tutto a favore della sua narrazione, non sarebbe questo passo a fare la differenza», commenta un'altra fonte alleata. Che poi però concede: «Alcuni alleati sono cauti su questo aspetto». L'altro problema non da poco sono i quattrini. Da dove verranno? Potranno tenere conto di ciò che i singoli Paesi già contribuiscono bilateralmente? Le discussioni qui sono solo all'inizio e i ministri degli Esteri avranno un primo giro di tavolo domani a Bruxelles. Un'ipotesi è che si usino le percentuali nazionali di contribuzione al bilancio Nato, un'altra è che si usi una quota fissa del Pil, sulla falsa riga di quanto proposto dai Baltici. «Tra gli alleati c'è un problema di divisione del peso del sostegno a Kiev: c'è chi fa molto e chi molto poco», sottolinea un diplomatico. Il bello della proposta di Stoltenberg è che risolverebbe questo vulnus, stabilendo un principio di condivisione. Non c'è però solo il rapporto fra gli alleati. Dato che l'Ucraina, mentre la Nato celebra il 75esimo anniversario, deve affrontare forse il momento più critico dopo l'assedio di Kiev e non può sperare di ricevere un invito ufficiale ad entrare nel club, almeno potrà contare su un pacchetto di sostegno alla difesa «consistente e prevedibile». «Si tratta di un ponte fra il presente e il futuro», spiega un funzionario alleato. Alla ministeriale non si parlerà ad ogni modo solo di Ucraina. L'altro tema sulla bocca di tutti è la successione a Stoltenberg. L'annuncio ufficiale della nomina di Mark Rutte sarebbe dovuto arrivare proprio in questi giorni ma il piano è fallito a causa della 'rivoltà di pochi ma determinati alleati. «Non possono scegliere sempre i grandi e poi comunicarlo agli altri», confida un diplomatico. Il presidente romeno Klaus Iohannis si è dunque lanciato nella mischia annunciando la propria candidatura in quella che alcuni alla Nato definiscono una «missione suicida». Sta di fatto che Rutte non ha ancora sfondato. «Siamo rimasti tutti molto sorpresi quando Iohannis ha annunciato la sua corsa, anche perché a quel punto c'erano già 24 Paesi a sostegno del premier olandese uscente, è stata una mossa tardiva», spiega un altro diplomatico alleato. Una delle ragioni andrebbe cercata nella genesi di questa scelta. Il nome di Rutte è stato 'tirato fuorì dal Quod (Usa, Francia, Regno Unito e Germania) e poi condiviso con gli altri alleati. Essenzialmente un mono-candidato. Da qui l'insofferenza di alcuni dei nuovi Paesi (e pure di qualche vecchio). La mossa di Iohannis, in questo quadro, sarebbe da leggere allora come un modo per negoziare le priorità, non accettando quindi il programma di Rutte a scatola chiusa. Va detto però che il numero dei Paesi sostenitori dell'olandese sarebbe salito comunque per toccare quota 28: solo quattro ora si oppongono e tra questi ci sono Turchia e Ungheria. «Di fatto torniamo allo scenario svedese», commenta un terzo diplomatico ricordando i veti di Ankara e Budapest all'ingresso di Stoccolma nel club. La sensazione però è che le rimostranze saranno sanate presto, anche perché gli americani vogliono che si chiuda prima delle elezioni europee. Resta ad ogni modo del «lavoro da fare». Che un terzo nome spunti all'improvviso viene considerato «improbabile», così come un'altra estensione del mandato di Stoltenberg. «Lo dobbiamo liberare, se andiamo oltre diventa sequestro di persona», taglia corto con una battuta un'alta fonte alleata.

I Paesi Baltici

«Un maggiore aiuto da parte della Nato all'Ucraina segnalerebbe al Paese la nostra volontà di rimanere costantemente al suo fianco e renderebbe ancor più chiaro a Mosca che non accettiamo la sua aggressione contro la sovranità e l'indipendenza di uno stato libero». Ha detto stamane il ministro degli Esteri lettone, Krisjanis Karins, al suo arrivo all'incontro a Bruxelles. Simili gli argomenti del ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, che ha ribadito la necessità di concordare subito un aiuto concreto all'Ucraina per permettere al Paese di respingere l'avanzata russa. In particolare, Tsahkna ha sottolineato l'importanza di fornire all'Ucraina sistemi di difesa aerea. Il politico estone ha infine posto l'attenzione sul bisogno che i Paesi della Nato aumentino i finanziamenti alla Difesa e che l'Alleanza atlantica elabori nuovi piani strategici in linea con il mutato contesto geopolitico. 

Il rapporto con la Russia

È praticamente nullo, «al livello zero», il canale di dialogo tra la Russia e la Nato. Ha dichiarato il vice ministro degli Esteri russo Alexander Grushko citato dall'agenzia di stampa Ria Novosti, affermando che le relazioni tra la Russia e l'Alleanza atlantica si stanno «prevedibilmente e deliberatamente» deteriorando. E questo per colpa degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Allo stesso tempo, ha aggiunto, la Russia non ha intenzione di avviare un conflitto militare con la Nato o con i suoi Paesi membri. «La Nato ha fatto della Russia l'obiettivo della sua politica aggressiva e l'Ucraina viene utilizzata dall'alleanza solo come strumento anti-russo». Ha aggiunto alla Tass la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, replicando alle dichiarazioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. «Le sue parole - ha aggiunto - sono la conferma dell'essenza anti-russa dell'alleanza».

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