Stupri nel parco Verde, il procuratore Airoma: «La pedopornografia
​nuovo business per i clan»

Il magistrato che seguì il caso della piccola Fortuna: «Il Parco Verde è la nostra cattiva coscienza»

Domenico Airoma
Domenico Airoma
di Viviana Lanza
Mercoledì 30 Agosto 2023, 23:43 - Ultimo agg. 31 Agosto, 06:52
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Domenico Airoma, attuale procuratore di Avellino, nove anni fa, assieme alla collega Claudia Maone e al procuratore Francesco Greco, sostenne l’accusa nel processo contro il responsabile degli abusi e dell’omicidio della piccola Fortuna Loffredo. In quell’occasione ebbe modo di conoscere e indagare sul degrado e gli orrori che si consumavano tra le mura fatiscenti delle palazzine popolari al Parco Verde di Caivano, oggi tornato sotto i riflettori per lo stupro di due bambine. Accetta di fare con Il Mattino una riflessione sui tragici fatti di questi giorni: «Il Parco Verde - dice - è la nostra cattiva coscienza, non serve la sola repressione». E poi: «La camorra ha cambiato atteggiamento di fronte agli abusi e agli orrori. È pronta a lucrare su questi vizi». 


In che senso, procuratore? 

«È emerso che sono stati fatti anche dei video degli stupri e i video vengono fatti per essere diffusi, ciò accade perché c’è una domanda. E la camorra alimenta questo vizio, facendo della prostituzione minorile e della pornografia un ulteriore filone di arricchimento. Se in passato, quando veniva commesso un reato o un abuso nei confronti di un bambino, erano i camorristi a intervenire per vendicare quell’abuso, già all’epoca del caso di Fortuna registrammo un’assoluta omertà perché la camorra imponeva a tutti di non collaborare con gli inquirenti mentre oggi abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che la camorra addirittura protegge gli autori di questi crimini e lucra su questo circuito vizioso». 

 

C’è quindi un problema non solo di legalità ma anche culturale.

«Mi sono sempre interessato di criminalità organizzata e il caso di Fortuna mi ha colpito profondamente perché in un certo senso non ero pronto a vedere quel tipo di perversione.

Mi sono reso però conto che quella perversione non era il frutto solo di una mente malata ma c’era in qualche modo un contesto che riguardava tutti noi. Mi viene in mente la frase del latino Terenzio, “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, cioè “Sono un essere umano e nulla di ciò che è umano è veramente estraneo a me”. Per questo dico che questi fatti, pur nella loro tragicità e malvagità, devono funzionare da choc per risvegliare le nostre coscienze. Il Parco Verde è la nostra cattiva coscienza ed è un errore considerare Caivano una sorta di inferno che non ha nulla a che fare con noi».

Cosa la spinge a dire questo? 

«Quando, con la collega Maone e il procuratore Greco, entrammo al Parco Verde, ci colpì subito il fatto che in quel luogo si combinasse una serie di fattori esplosivi, o per meglio dire implosivi, perché c’era, e c’è tuttora, un tangibile degrado ambientale che purtroppo sta diventando quasi endemico in quelle zone nonostante il lavoro incessante che sta facendo la Procura di Napoli nord. Al degrado ambientale si somma un degrado sociale, un vuoto, un’assenza non soltanto delle istituzioni ma anche della comunità, eccezion fatta per l’opera meritoria di don Maurizio Patriciello. A tutto ciò va anche associato un diffuso degrado morale. Indagando sull’omicidio della piccola Fortuna, ci imbattemmo in una molteplicità di casi di abuso su minori in ambito intrafamiliare e non solo, e quello che ci colpì fu il fatto che in quel contesto l’abuso sui minori fosse vissuto come una pratica usuale rispetto alla quale non ci si scandalizzava neanche più, come se rientrasse in qualcosa di ordinario, consueto».

Video

Dal caso della piccola Fortuna ad oggi nulla sembra essere cambiato al Parco Verde, perché secondo lei? 

«Sarebbe troppo comodo liquidare il Parco Verde come una sorta di inferno rispetto al quale invocare forze di polizia, repressione e deportazione. Lì la camorra è certamente egemone, ma come diceva Giovanni Falcone la camorra non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sociale sano. Al Parco Verde il tessuto sociale è sicuramente malato e i responsabili di questa malattia sono coloro che hanno lasciato vuoti che la criminalità colma e attorno ai quali il degrado prolifera. Entrando al Parco Verde avvertimmo la sensazione di essere degli estranei in un contesto che percepivamo come dominato da altri. Lì c’è un vuoto delle istituzioni, c’è una miscela di indifferenza, rassegnazione e collusione, perché quando si ha a che fare con un contesto dominato da violenti bisogna avere una forte tensione morale per fare opposizione o bisogna avere una grande fede come quella che ha don Maurizio che crede ancora nell’uomo, altrimenti l’atteggiamento è quello dell’indifferenza. Per questo ribadisco, attenzione a lavarsi la coscienza e dire che il Parco Verde è un inferno, che va fatto un recinto o una grande operazione di polizia e via. Mi rendo conto che è importante far sentire la presenza e la forza dello Stato ma non illudiamoci che questo serva a risolvere in profondità la questione del Parco Verde». 

Cosa servirebbe?

«Scuola, servizi, soprattutto alterative e risposte da dare ai giovani. Il Parco Verde è un universo chiuso. Il caso di Fortuna lo abbiamo risolto, oltre che con strumenti tecnici, grazie alla determinante collaborazione di una ragazza cresciuta nel Parco Verde e questo lo dico perché non è vero che è tutto perso, fin quando ci sono gli uomini c’è la possibilità di ricostruire ma bisogna dare un orizzonte di fiducia e di speranza a questi uomini. Da quella testimonianza ho ricavato la consapevolezza che ai giovani bisogna dare risposte forti, rispondendo a una domanda di senso. Non c’è bisogno solo di un reddito di cittadinanza ma di un reddito antropologico che manca. Questi ragazzi hanno bisogno di un’identità, hanno bisogno di opportunità e modelli sani, altrimenti li cercheranno nella camorra credendo che la criminalità e la violenza siano l’unico ascensore sociale, l’unica alternativa a una dannazione sociale».
 

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