I bambini di Napoli e la scuola derisa

di Giuseppe Montesano
Venerdì 17 Maggio 2019, 08:00
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Quasi un anno fa sul sito del ministero dell'Istruzione uscì la notizia che era partito il Piter, un acronimo che voleva dire, con l'immancabile e pomposo inglese dei provinciali, questo: Percorsi di Inclusione, Innovazione Territoriale e Empowerment. Un progetto contro la dispersione scolastica nel Rione Sanità per 300 minori tra i 6 e i 18 anni, con la cabina di regia in prefettura e con 3 milioni del ministero e 3 della Regione Campania. Più recente è l'annuncio dei 50 milioni stanziati per tutta l'Italia con lo stesso scopo, e non si contano le dichiarazioni di progetti simili.

Tutto fantastico, davvero: ma allora perché oggi una religiosa, suor Lucia Sacchetti, insieme a molti altri volontari lancia un grido di dolore da guerra perduta per i bambini della Sanità che non vanno a scuola, per l'analfabetismo di partenza e di ritorno dei minori, per l'analfabetismo culturale degli adulti? La risposta è che i progetti da soli non possono far fronte in alcun modo alla tendenza generale di una intera società, e la tendenza di sottosviluppo di questa società, e ovviamente della sua classe politica, è quella che, come in tutte le epoche di accecamento ideologico, potrebbe ripetere le parole di un guru nazista, seguito da tanti guretti italiani, che disse più o meno: quando sento parlare di Cultura metto mano alla pistola. Non è questo che viene continuamente ripetuto e twittato, in formule solo più ipocrite, da tanti rappresentanti della classe politica?



E non c’è forse, da parte del ceto politico, una sorta di oscena e vilissima adulazione dell’ignoranza in stile repubblica delle banane, con lo sbandieramento del luogo comune che le persone normali pensano a tutto tranne che alla cultura? E non è questo il Paese che poi nelle statistiche, che non sono opinioni, ha la più bassa percentuale di lettori di giornali e di libri dell’Europa evoluta ma la più alta percentuale di telefonini chattanti sciocchezze? Ma qualcuno dirà: queste sono chiacchiere da intellettuali, i fatti sono i milioni di euro stanziati per la dispersione, tacete voi criticoni e pensate a chattare. E purtroppo non è così, perché tutto parla di una decadenza italiana della considerazione reale che le persone hanno dell’istruzione e della cultura in quanto valori: ancora fino a due decenni fa andare a scuola era considerato una gran cosa, un mezzo per l’ascesa e il riscatto sociale. 

Oggi al contrario, e questo lo può testimoniare qualsiasi insegnante della scuola dell’obbligo, soprattutto elementare e media, il genitore convocato per la non frequenza del figlio arriva per dire con aria sicura e presuntuosa: “Prufesso’, ma che c’ ‘o mann’ a ffà, ‘a sta scol’? ‘A scol’ nun serv’ a nient’!” E la cosa terribile è che quel genitore, senza saperlo esattamente, sta sottolineando che l’istruzione come ascensore sociale non funziona più: ma ancora di più sta esprimendo una non-cultura che è quella stessa che dice che i laureati sono fannulloni e che i grembiulini a scuola ci salveranno dalla decadenza morale e economica e chissà cos’altro. È la stessa non-cultura italiana che produce una televisione dove “ochi” e oche ciarlano garruli su qualsiasi cosa non abbia senso, e fanno passare il messaggio che se ce la può fare ad aver successo un ignorante come X o Y, allora veramente ce la può fare chiunque senza saper fare nemmeno “o” con il bicchiere.

In questa situazione non basta investire soldi, ma bisogna aprire gli occhi sulla realtà vera dei Rioni e dei Parchi Verdi e Gialli e Rosa in cui l’istruzione mancante è direttamente proporzionale alla distruzione esistente, e rendersi conto che si tratta di cambiare e far cambiare l’idea stessa di cultura: e forse di lanciare senza ipocrisie un Piano Marshall dell’alfabetizzazione ai saperi, alla critica, alla conoscenza, alla sessualità, all’etica, che vada dai 6 ai 90 anni. Bisognerebbe non fare finta che bastano solo toppe ma capire che serve rifare tutto l’abito, bisognerebbe capire che un piano per l’istruzione prevede sempre un piano per il lavoro, ma bisognerebbe anche capire che se non si dimostra con i fatti che studiare serve a migliorare la vita e che i meritevoli di cui parla la Costituzione sono premiati nella realtà, non si inciderà sulla mentalità per cui studiare è inutile. 

Ma per fare questo la classe dirigente dovrebbe dare l’esempio, per cui le cose importanti le fa chi sa farle, e chi non sa farle prima deve imparare. La classe dirigente dovrebbe dare l’esempio, e mostrare che corrompere, evadere le tasse, avere posti di lavoro per collusione politica a prescindere dalle capacità, non è la norma ma l’eccezione, e che il sapere “paga” anche socialmente. Molti, troppi anni fa, chi scrive qui aveva “fatto filone” al liceo con leggerezza da sciocco adolescente, e capitò con amici e amiche in una salumeria per un panino: e là si trovò di fronte un gentile signore che quando capì del filone si dispiacque molto, ci chiese accorato di non farlo più, disse che l’istruzione era un’opportunità straordinaria, e poi fece una cosa terribile: si mise a piangere dicendo che lui aveva il grande rimpianto di non essere stato a scuola. Come si possono dimenticare certe lezioni? Ma oggi i guru della “pratica” dicono come iene ridens che, tutto sommato, lo studio non serve a niente: e che in Italia ci sono troppi laureati.

Che Paese incredibile! E allora la suora del rione Sanità, e davvero qui si vorrebbe come un tempo chiamarla “sorella”, che grida il suo dolore per l’infanzia che rischia di non salvarsi, proprio lei non è né patetica né ridicola, ma assolutamente realistica: perché grida che l’istruzione non è un optional ma è una strada letteralmente obbligata. E il grido che non è solo suo va raccolto, ma va raccolto smontando tutti i luoghi comuni che fanno dell’incultura una normalità felice e della cultura un lusso: non è così, e le società evolute, a cui rischiamo di non appartenere più, lo sanno e lo dimostrano non solo con le buone intenzioni di cui è lastricata la strada dell’inferno, ma con i fatti. Ci si sciacqua molto la bocca con “i fatti”, oggi, ma solo i dittatorelli da salotto twittante ignorano che per fare i fatti che contano ci vuole il pensiero, l’istruzione, il sapere: gli edifici costruiti senza pensarli bene prima possono solo crollare, e gli uomini senza cultura possono solo diventare mostri.
 
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