Flavio Briatore attacca, Napoli si difende: «Il suo prezzo della pizza è folle»

Flavio Briatore attacca, Napoli si difende: «Il suo prezzo della pizza è folle»
di Gennaro Di Biase
Martedì 21 Giugno 2022, 11:00 - Ultimo agg. 15:01
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Briatore attacca, Napoli si difende. Continua la polemica sulla pizza, e in particolare sui costi di produzione. Bufera social, botta e risposta a mezzo di agenzie e siti di informazione. Da un lato c'è Flavio Briatore, l'imprenditore esperto di marketing e non certo nuovo alle schermaglie politico-mediatiche: l'altro ieri aveva azzardato sospetti su chi vende la pizza a «4 euro». Dall'altro lato, i pizzaioli napoletani che hanno risposto a Briatore difendendo la possibilità di offrire un prodotto di qualità senza far lievitare le spese. L'importante, in ogni caso, è che se ne parli. Se bene o male, poi, conta poco. È la regola del circo mediatico. E lo è da oltre mezzo secolo.

Tutto è cominciato, non a caso, sui social. «Come fanno a vendere la pizza a 4-5 euro?» si domandava Briatore per rispondere alle critiche dei tanti che ritengono esagerati i costi del menù nella sua nuova catena Crazy Pizza (la più classica costa 15 euro, la bufalina 25, la Pata Negra addirittura 65).

L'imprenditore, ex protagonista di The Apprentice Italia, ha poi sostenuto che i costi delle sue pizze siano giustificati dalle tasse, dalle spese per le materie prime di qualità e dal costo dei dipendenti. «Ma per tenere i prezzi così bassi, che ingredienti usate? - ha contrattaccato - Cosa ci mettono dentro questi signori? Pagano stipendi, affitti, ingredienti, gas, luce, ammortamenti... o ne vendi 50mila o c'è qualcosa sotto che non capisco». Chi si sente attaccato, attacca a sua volta, in poche parole. E come al solito la verità sta a metà strada. 

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Una verità che deve fare i conti non solo con lo scontro politico già in atto in tutta Italia sull'innalzamento del costo della vita, ma anche su città diverse come Napoli e Milano, nonché società con target diversi di clientela e obiettivi aziendali dissimili. È in questo contesto, comunque, che ieri sono entrati in scena i pizzaioli napoletani, che hanno difeso il binomio low cost-qualità del prodotto. A parlare, tra gli altri, è stato Sergio Miccù, presidente dell'Associazione Pizzaiuoli Napoletani: «Il problema non è a quanto si venda la pizza con l'astice blu - ha spiegato - Ma a quanto sia giusto vendere una margherita o una marinara con ingredienti di qualità. La pizza ha contribuito a sfamare intere generazioni superando le crisi più dure che la città ha vissuto. Dalla guerra al colera. Ma oggi si tratta di un piatto. Perciò le classiche devono conservare anche il valore della tradizione. Quelle cosiddette da chef, che diventano un'altra cosa, possono anche avere prezzi diversi. Per una margherita di qualità bastano pochi euro». Se la polemica di queste ore continua a lievitare sui social, insomma, è perché attraverso la pizza sta passando una lotta sociale e politica sulla crisi del mondo del lavoro e sull'aumento generale dei costi di produzione, dovuto prima alla pandemia e poi alla guerra tra Russia e Ucraina (e alle relative speculazioni). C'è un po' di tutto, insomma, nella battaglia sulla pizza. E gli ingredienti sono gli stessi che animano il dibattito sulle priorità dell'agenda globale. 

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