Germogli verdi sopra la cenere,
così la natura si riprende il Vesuvio

Germogli verdi sopra la cenere, così la natura si riprende il Vesuvio
di Maurizio Capozzo e Francesca Mari
Venerdì 28 Luglio 2017, 12:48
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Nell'arido paesaggio del Vesuvio ridotto in cenere e carbone dalla mano criminale dell'uomo, dopo nemmeno dieci giorni dal passaggio devastante delle fiamme spuntano i primi germogli verdi. È la natura che si rigenera, imponderabile, al di là di ogni barbarie e previsione umana. Goethe nel suo Frammento sulla natura dice che noi umani «viviamo in mezzo a lei, ma le siamo estranei. Agiamo continuamente su di lei e non abbiamo su di lei nessun potere»: gli ettari di Parco nazionale andati in fumo già raccontano di una rinascita, mentre ancora si cercano le responsabilità dello scempio.

Il professore Riccardo Motti, docente alla Facoltà di Agraria dell'Università Federico II, ricercatore di botanica sistematica e direttore dell'Orto Botanico di Portici, ha repertato alcuni germogli delle centinaia di specie floristiche che si contano sul Vesuvio, rigeneratisi velocemente e, in alcuni, casi, anche misteriosamente tanto da diventare oggetto di studio. «È sorprendente - commenta Motti - vedere con quale energia alcune specie si siano rigenerate dopo essere sopravvissute alla furia del fuoco, nonostante la stagione siccitosa». I germogli appartengono alle specie arundo, asparago, convolvolo, eucalipto e ginestra, riprodotte per via vegetativa, e al verbascum, che si riproduce per seme. Ed è proprio il verbascum a incuriosire gli studiosi, per la celerità di riproduzione. «La velocità aggiunge Motti dimostra che alcune piante si siano come adattate al passaggio del fuoco. In ogni caso bisogna effettuare analisi più precise, siamo molto interessati a considerare, nelle settomane a venire, l'intera e complessa varietà floristica del Vesuvio». 

Dagli ultimi rilievi effettuati circa tre anni fa, naturalmente prima dei devastanti incendi, emerge che sul Vesuvio vivono circa 630 specie di piante diverse, modificatesi nel tempo e anche per mano dell'uomo. E dell'«odorata ginestra» cantata da Leopardi, sul Vesuvio esistono ben tre specie: la Ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius), la Ginestra odorosa (Spartium junceum) e la Ginestra dell'Etna (Genista aetnensi). «Le prime due sono nostrane conclude Motti mentre la terza è endemica della Sicilia e della Sardegna e si sta diffondendo sempre più prepotentemente».
 


Dalla forza vitale della natura a una piccola grande rivincita della solerzia umana. Nel disastro sconvolgente del Vesuvio in fiamme - studi approfonditi hanno elevato a 1980 ettari l'area percorsa dalla lunga scia di fuoco nei giorni dell'emergenza - c'è stata una porzione di Parco dove si è riusciti a contenere i danni, grazie ad una corretta politica di prevenzione basata su una tecnica sperimentale. È quanto rileva il rapporto su un primo studio svolto da personale del Reparto Carabinieri Biodiversità di Caserta, ufficio che gestisce la Riserva Alto Tirone del Parco Nazionale del Vesuvio insieme a un gruppo di lavoro costituito da SMA Campania - società in house della Regione Campania, rappresentata dal project manager Saverio Basile con il collaboratore Pietro Lavorgna - e dall'Università Luigi Vanvitelli, con le ricercatrici Assunta Esposito e Giovanna Battipaglia. Il Reparto Carabinieri Biodiversità, mentre è ancora impegnato a spegnere e a bonificare, ha cominciato a delineare gli interventi che si dovranno mettere in atto nei prossimi mesi, a partire dalla messa in sicurezza della Strada Matrone, per passare alle opere di difesa del suolo dal dissesto idrogeologico; rischio che, data l'incoerenza del suolo e le pendenze che caratterizzano molte delle aree bruciate, diventerà concreto non appena arriveranno le prime piogge.

Ma il dato sorprendente arriva dal satellite: sui 1.980 ettari coinvolti dai roghi, infatti, circa 960 ettari di vegetazione risultano «completamente distrutti», 770 ettari «molto danneggiati» e 250 ettari «leggermente danneggiati». Sono proprio queste ultime le parcelle che sono state trattate con la tecnica del «fuoco prescritto» nel marzo 2016, nell'ambito di un programma promosso dalla Regione Campania attraverso SMA Campania e di cui la professoressa Assunta Esposito era responsabile per conto dell'Università Vanvitelli. La tecnica utilizzata spiegano gli esperti - consiste nella riduzione del carico di combustibile fine presente in bosco con l'obiettivo specifico, in questo caso, di ridurre il rischio incendi. Insomma, con interventi di manutenzione dei cosiddetti «viali taglia fuoco», riducendo la infiammabilità dei siti, si riducono i rischi di propagazione dei roghi. Ovviamente questa non è la sola via per ridurre i pericoli tengono a chiarire gli esperti ma si tratta, comunque, di un primo approccio in grado di assicurare risultati apprezzabili. 

La comunità scientifica, intanto, si mobilita per dare un contributo al post-disastro. Un rapporto stilato da uno studioso di Portici e trasmesso al Comune è finito all'attenzione dell'assessore regionale all'Ambiente, il vicepresidente Fulvio Bonavitacola, cui il sindaco Vincenzo Cuomo ha sollecitato interventi immediati in vista della stagione autunnale. «L'accumulo sul terreno di cenere e carbone che in caso di forti piogge divengono fango, l'erosione del suolo per maggiore esposizione agli agenti atmosferici, l'impermeabilizzazione dello spessore di suolo più prossimo per cottura del suolo alle alte temperature sprigionate durante l'incendio - scrive il geologo Giovan Giuseppe Acerbo - sono fattori che generano non poca preoccupazione in vista della prossima stagione autunnale in cui sarà facilmente prevedibile il verificarsi di sporadici, ma intensi e parossistici fenomeni temporaleschi meglio noti come bombe d'acqua, che rilasciano in pochi minuti decine di centimetri di acqua piovana».

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