Bambini uccisi dai clan, a Napoli la strage degli innocenti

Bambini uccisi dai clan, a Napoli la strage degli innocenti
di Daniela De Crescenzo
Lunedì 6 Maggio 2019, 08:33
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«La mia vita è finita il 29 maggio del 1982, quando mia figlia è stata ammazzata»: Angela Procaccini è la mamma di Simonetta Lamberti, la prima bambina uccisa dalla camorra in Campania. Dopo di lei la fondazione Polis contra altri 24 bambini ammazzati a cui si devono aggiungere 12 ragazzini tra i 13 e i 18 anni. L'hanno chiamata la Strage degli innocenti, ma quell'elenco troppo lungo è anche e per sempre il segno della nostra vergogna. Il marchio di una società incapace di difendere i propri figli.

«Nel nostro archivio che monitora ad oggi 356 omicidi di vittime innocenti di criminalità in Campania i bambini (0- 12anni) uccisi dalla criminalità sono 25 e i ragazzi uccisi dalla criminalità, compresi nella fascia di età che va dai 13 anni alla maggiore età sono undici. Complessivamente sono 36 gli innocenti colpiti dalla criminalità, vale a dire il 10,7% delle vittime innocenti della criminalità», scrive Polis nel presentare il dossier che si apre, appunto, con il nome di Simonetta, la figlia di Alfonso Lamberti, magistrato di Sala Consilina, impegnato nelle indagini sui clan del salernitana: le indagini sulla sua morte sono andate avanti per decenni, con una serie di colpi di scena.

 

Angela Procaccini, la madre della bimba, impegnata oggi in mille iniziative per il recupero dei giovani a rischio, da venerdì, quando hanno sparato a Noemi, non esce di casa, legata allo schermo della Tv aspettando un finale diverso di quello che ha condannato la sua creatura. «Quel giorno mio marito voleva portare il mio primo figlio, Francesco, al mare ricorda - Il ragazzino rifiutò, il padre insistette per farsi accompagnare da Simonetta che stava giocando. Io le dissi: accontenta papà. Uscirono alle due, un'ora dopo arrivarono i poliziotti per dirmi che era ferita. Con una amica corremmo in ospedale, ma nel mio cuore sapevo che non c'era niente da fare. Io, che sono profondamente cristiana, non avevo ne forza né volontà di pregare. Verso le 19 mio fratello mi si avvicinò e disse: Non c'è niente da fare la dobbiamo portare indietro. Sulla strada del ritorno l'ambulanza fermò alla piazzola di Nocera inferiore il medico scese e fece cenno di no con la testa. Mia figlia è morta lungo la strada di casa. Ho rivisto la mia bambina solo il giorno dopo alle 7 quando ho trovato il coraggio di entrare nella mia camera da letto, aveva la testa fasciata, non aveva più i suoi capelli biondi, aveva solo una macchia viola alla tempia. Da quel giorno sono passati quasi 37 anni e io sono qui a trepidare per un'altra bambina».

LA RABBIA
Un'altra bambina, l'ennesima. «Perché chi racconta che c'è stato un tempo in cui la camorra non ammazzava i bambini, racconta una storia inventata per farci credere che esistono i clan buoni. Non è vero. I criminali se ne fregano dei nostri figli». Luigi Cangiano aveva dieci anni quando fu ammazzato al rione Siberia. Tre bimbi, ma pochi lo ricordano, sono morti nella strage del rapido 904: Federica Taglialatela, Anna e Giovanni De Simone. Nel 1989 ad Agropoli è stata la volta di Carmela Pannone, 5 anni, nel 1990 fu ammazzato a Casoria Andrea Esposito: tutte vittime dei clan.

LA TRAGEDIA
La sera del 19 maggio del 1990 al Cardarelli arrivò il corpo crivellato di colpi di Nunzio Pandolfi, 2 anni. Era in braccio al padre: i killer entrarono in casa per uccidere l'affiliato del clan rivale, videro il bimbo, non si fermarono. «Quando arrivò il piccolo racconta Paolo Siani allora giovane medico, adesso primario in aspettativa del Santobono e deputato del Pd noi medici rimanemmo impietriti. I chirurghi, abituati a intervenire sugli adulti, erano sconvolti. Non ci era mai capitato di dover curare un corpo così piccolo straziato dai proiettili». Dopo pochi minuti Nunzio morì. Ieri Siani ha scritto su Facebook: «Nessun chirurgo, nessun radiologo specie di un ospedale pediatrico ha esperienza di ferite da arma da fuoco o ha mai estratto proiettili dal corpo di una bambina, una piccola bambina. E pure i miei colleghi dell'ospedale Santobono, dai chirurghi ai radiologi, che hanno localizzato il proiettile e capito la traiettoria che aveva seguito, agli anestesisti e ai rianimatori, hanno fatto qualcosa di straordinario...». Qualcosa di straordinario perché un proiettile nel corpo di un bambino non è normale. O meglio: non sarebbe normale. Non sarebbe normale se non avessimo visto morire Valentina Terracciano, anche lei crivellata dai colpi diretti al padre, e Gioacchino Costanzo e Jenny Cesarano. Tanti. Troppi. Da ieri sul web si prega per Noemi: il post di una cittadina qualsiasi, Titta Fallace, che pubblica la foto della bambina e chiede di supplicare Dio per la sua salvezza, è stato condiviso più di diecimila volte. Ma non basta un clik per fermare una strage.
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