Caffè e brioche nella casa del boss prima di andare ad uccidere un uomo. Alle sette di mattina del 29 marzo il destino di Pasquale Izzi - pregiudicato in permesso premio che dopo alcuni giorni di libertà vigilata si apprestava a rientrare nel carcere di Avellino - era già compiuto. Il suo omicidio era stato pianificato da giorni, e a decretarlo era stato Carlo Lo Russo, il reggente del clan dei Capitoni di Miano. E quella mattina «zio Carlo», come lo chiamano in segno di deferenza e rispetto i giovanissimi killer che si sono offerti di premere il grilletto, assisterà in compagnia della moglie all'esecuzione in diretta, per poi - più tardi - compiacersi con uno dei sicari dicendogli: «Dieci botte (colpi, ndr) in faccia. Ma come hai fatto?».
Cartoline dall'inferno della camorra nera che a Napoli continua a tenere sotto scacco interi quartieri. A poco più di due settimane da quei fatti polizia e carabinieri hanno chiuso il cerchio delle indagini arrestando quattro persone: il 49enne Carlo Lo Russo, considerato il mandante del delitto, sua moglie Anna Serino, di 46, Luigi Cutarelli, di 21 anni, indicato come esecutore materiale, e Mariano Torre, 28enne, accusato di aver affiancato il sicario e di aver contribuito a localizzare Izzi che usciva di casa per salire a bordo di un'auto.Dalle carte dell'ordinanza firmata dal gip Francesca Ferri emerge uno spaccato inquietante che è poi anche un affresco drammatico del degrado targato camorra. Le indagini coordinate dai pm della Direzione antimafia Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock hanno messo in luce ogni particolare dell'omicidio. A cominciare dal movente: il 55enne Izzi fu ucciso perché era «antipatico» a Lo Russo. Antipatico: proprio così dice il boss spiegando che la presenza seppur saltuaria di quel pregiudicato mai visto di buon occhio dai suoi, anche perché legato a soggetti vicini a un gruppo rivale. E così la mattina del 29 marzo da un lato il capoclan impartisce i suoi ultimi ordini ai sicari, mentre sua moglie - come una perfetta «lady camorra» - prepara loro la colazione prima di incitarli a compiere la missione di morte.
«Anna Serino - scrive il gip - non è una mera spettatrice, non si limita a condividere la decisione dell'omicidio. Fa di più: partecipa alla fase organizzativa e si impegna, quando i killer stanno per entrare in azione, a tenere lontane da casa la madre e la donna delle pulizie per paura che vedano qualcosa e possano spaventarsi.Una sequenza di orrori e follie. L'esecuzione è un «regalo» che il giovanissimo Cutarelli - detto «Kamikaze» - fa a Carlo Lo Russo sottolineando e vantandosi di essere pronto a «fare ogni cosa per lui, pure di farmi esplodere». Non a caso il 21enne si fa chiamare «Kamikaze».
Dalle registrazioni acquisite emerge un altro inquietante particolare: conversando con la moglie il boss si esalta: «Quello (Cutarelli, ndr) a me mi chiama Allah, e per me lui è l'Isis!». Passaggio, questo, che non sfugge al gip, che sottolinea: «Per gli indagati l'unica cosa che conta è l'obiettivo, da colpire a ogni costo.
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