Campania, la «rete» cuore che stenta a delocollare

Campania, la «rete» cuore che stenta a delocollare
di Maria Pirro
Venerdì 11 Marzo 2016, 08:52 - Ultimo agg. 09:09
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A Salerno il via è slittato agli inizi dell'estate, a Napoli a settembre. Il nuovo sistema per l'emergenza cuore prevede che un elettrocardiogramma, collegato al server centrale, consenta di eseguire gli esami a casa dell'ammalato o per strada e inviare il tracciato al reparto (unità coronarica) competente per fare la diagnosi e quindi decidere in anticipo in quale ospedale il paziente: se ha bisogno di un'angioplastica, in una struttura attrezzata per operare, così da evitare il doppio viaggio o ping-pong tra un centro e l'altro, e non perdere tempo prezioso. Invece, ancora oggi è un percorso a ostacoli. Della diagnosi non v'è certezza.

«Chi ha un dolore al torace, e chiama il 118, viene trasportato nell'ospedale più vicino, che però può non avere strumenti adeguati per le terapie, perché le ambulanze non sono dotate delle attrezzature necessarie», chiarisce Giuseppe Galano, direttore del 118 nonché presidente campano del sindacato degli anestesisti Aaroi-Emac. Di provvedere se ne discute da un decennio, almeno. Ora la svolta pare imminente: una gara è stata aggiudicata dalla Soresa, la società di acquisti regionale per una spesa complessiva di 2,1 milioni. «Ma si registrano dei ritardi nell'acquisizione del sistema, perché alcune attrezzature come i server sono comuni, ma non tutte le Asl e gli ospedali hanno effettuato gli acquisti di loro competenza», chiarisce Giovanni Esposito, professore universitario di cardiologia alla Federico II nonché coordinatore scientifico del tavolo tecnico istituito nel 2014 a Palazzo Santa Lucia.

Secondo il cronoprogramma originario, la rete per l'infarto (per intervenire entro 90 minuti, e quindi ridurre i danni al cuore e la mortalità) avrebbe dovuto diventare operativa già agli inizi dell'anno nella provincia-pilota di Salerno. Nella regione, i centri più importanti, detti hub, che sono quelli dotati di cardiochirurgia, cardiologia, emodinamica e terapia intensiva coronarica, sono stati individuati nelle seguenti strutture: Monaldi, Ruggi, Moscati, Rummo, ospedale di Caserta e Federico II. In aggiunta, per Napoli, ci sono Cardarelli, Loreto Mare e San Giovanni Bosco, che però non possono gestire tutte le emergenze cardiochirurgiche (perché manca la cardiochirurgia). Mentre Pozzuoli e Castellammare i reparti di emodinamica sono previsti, ma non ancora in funzione. Naturalmente, la rete tra ospedali non è operativa. «Perché è indispensabile attrezzare prima le ambulanze di modo che si possa fare la diagnosi prima del trasporto in ospedale», spiega Esposito.

In attesa della svolta, capita che sale operatorie e posti letto nei centri specialistici siano tutti occupati. Il nodo resta avere una cabina di regia. Esposito spiega: «Con la nuova organizzazione, è previsto che il paziente possa essere operato anche in una struttura che non ha letti disponibili, e poi sia eventualmente trasportato, dopo la chirurgia, in un altro ospedale detto spoke». Due o tre ne sono individuati in ogni provincia. Tutti in ospedali pubblici, mentre le sinergie con i centri privati accreditati restano parziali. «Non sono coinvolti in questa prima fase perché di notte non accettano pazienti tramite il 118, ma l'intenzione è quella di allargare la rete», aggiunge Esposito. Già oggi, «di domenica e nei giorni festivi è molto difficile trasferire i pazienti nelle strutture convenzionate», allarga le braccia Bernardino Tuccillo, primario del Loreto Mare che provvede a un alto numero di interventi: 250 angioplastiche all'anno per infarto, 800 in totale e mille procedure di emodinamica programmate.

«Quando non c'è alternativa, il paziente resta in barella anche dopo l'operazione». Ancor più complessa è la ricerca per la cardiochirurgia. «Servirebbe avere una camera operatoria sempre libera in ambito regionale», propone Galano. Secondo una sua analisi sui trasferimenti eseguiti a Napoli dal 118 e riferiti al 2014, si contano sulle dita delle mani nei centri accreditati. «Ma un vero problema è anche la carenza di personale», interviene Carlo Vosa, direttore della cardiochirurgia della Federico II, che spiega: «Io ho dodici posti in terapia intensiva, ma ne possono tenere solo cinque in funzione perché mancano gli infermieri. Così è molto difficile accettare pazienti di emergenza anche se a giorni alterni arrivano richieste. Per fronteggiarle tutte, sarebbe decisivo anche aprire il pronto soccorso ai policlinici». Tuccillo aggiunge: «Al Loreto Mare, in funzione 7 giorni su 7, 24 ore su 24, anche io, che sono il primario, faccio i turni e garantisco la reperibilità perché solo tre colleghi medici non potrebbero reggere». Sembra un'impresa fare tutto. Eppure, ci sono regioni in cui tutto questo funziona da anni.