Camorra a Castellammare di Stabia, il parcheggio delle Terme «ufficio» del clan D'Alessandro

Camorra a Castellammare di Stabia, il parcheggio delle Terme «ufficio» del clan D'Alessandro
di Dario Sautto
Venerdì 26 Marzo 2021, 10:06 - Ultimo agg. 10:49
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Aveva lui le chiavi del cancello del nuovo bunker creato dal clan D'Alessandro nell'ex scuola Salvati del rione Scanzano per tenere i summit segreti. Ed era sempre lui a ordinare il pestaggio dei giovani che non seguivano le regole della «famiglia», compiendo scippi e rapine vicino alla roccaforte della cosca, attirando così controlli delle forze dell'ordine. Dal suo bar «Istrice 45» nel cuore del rione, aveva deciso di concedere l'autorizzazione per far ripartire la vendita di sigarette di contrabbando, ma imponendo il pizzo. Tutto in virtù del suo cognome e della protezione di nonno Sergio Mosca, il reggente del clan. Ad appena 22 anni, Luigi D'Alessandro (figlio di Pasquale e nipote anche del defunto capoclan Michele) stava studiando all'università e contemporaneamente scalava le gerarchie del clan di famiglia. Anche questo succedeva a Castellammare fino a pochi giorni fa, come hanno ricostruito le indagini condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata, coordinate dal pm Giuseppe Cimmarotta, che hanno portato all'arresto di 16 persone tra cui proprio il rampollo di casa D'Alessandro. Appena maggiorenne, il giorno dopo l'omicidio del pentito Antonio Fontana avvenuto a luglio 2017 ad Agerola, Luigi junior decise di «sfilare» in centro a Castellammare, scortato da un gruppetto di giovani a lui vicini, tutti armati. Un atto dimostrativo, secondo gli inquirenti. 

Ieri mattina sono iniziati gli interrogatori dei primi arrestati, che si sono avvalsi tutti della facoltà di non rispondere. Tra questi c'è Sergio Mosca, che insieme ad Antonio Rossetti e Giovanni D'Alessandro comprendeva la «triade» alla guida del clan D'Alessandro tra il 2017 e fine 2019, quando due scarcerazioni eccellenti quelle dell'anziano Luigi «Gigginiello» e di Vincenzo D'Alessandro hanno visto tornare i due pregiudicati alla guida del clan. «Io devo dare conto a Gigginiello e Enzuccio quando escono» dice, intercettato, Sergio Mosca. Per questo guida con rigore il clan D'Alessandro, seguendo le direttive lasciate dai boss. Innanzitutto completare gli omicidi di quelli compresi nella «black list» della famiglia D'Alessandro. Dopo Antonio Fontana, l'obiettivo era Francesco Belviso, altro collaboratore di giustizia, poi morto per cause naturali. Grazie a un affiliato, Mosca scopre dove viveva sotto copertura Belviso. «Adesso voglio sapere dove sta la figlia» ordina Mosca, pensando forse a una vendetta trasversale. Nel frattempo, il suo quartier generale anzi l'ufficio, come lo definisce lui era diventato il parcheggio delle nuove Terme di Stabia, ormai abbandonate al degrado più totale. Mosca si definiva «il padrone delle Terme» e diceva che «qui a Castellammare comandiamo noi, comandano i D'Alessandro».

Lì sulle Terme, in estate, era comparsa anche la scritta «Scanzano regna», poi cancellata su indicazione del procuratore Nunzio Fragliasso. Parlando con la moglie, Mosca sottolinea che «lo sanno già tutti, ricevo dalle 16 alle 18, orario d'ufficio. Se mi volete, mi trovate lì tutti i giorni, tranne la domenica». Durante quelle due ore, nel parcheggio delle Terme c'era il viavai degli affiliati, tra cui anche il giovane nipote Luigi D'Alessandro, che portava le «imbasciate» e si confrontava con il nonno sulle decisioni da prendere. 

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Tra gli affari del clan, c'era l'inquinamento di tutti gli appalti pubblici, aggiudicati direttamente da aziende vicine ai D'Alessandro, alcune riconducibili a Liberato Paturzo, ritenuto «il volto imprenditoriale della camorra», oppure attraverso il racket dei subappalti e le forniture gonfiate. Tant'è che il gip definisce l'attività amministrativa «piegata agli interessi del clan». 

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