Clan e professionisti a Napoli, i giudici: «Caccia ai volti puliti ​per riciclare milioni»

Clan e professionisti a Napoli, i giudici: «Caccia ai volti puliti per riciclare milioni»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 3 Giugno 2021, 23:04 - Ultimo agg. 4 Giugno, 19:04
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C’è una esigenza costante di volti puliti. Non tanto per macinare incassi, arricchire il proprio patrimonio illecito, quanto per consolidarlo: facendolo venire alla luce, con un’opera di pulizia che richiede l’intervento dei migliori talenti a disposizione. È così che in poche righe, il tribunale del Riesame di Napoli scatta una foto impietosa di un certo andazzo che ormai da anni viene denunciato nel corso di indagini penali e inchieste giornalistiche: l’abbraccio tra i clan e una certa borghesia delle professioni, un rapporto che si è consolidato al punto tale da rappresentare - scrivono i giudici - «una pericolosa deviazione» di percorsi di studio e di affermazione professionale apparentemente integerrimi.

Ma proviamo a raccogliere l’affondo dei giudici, alla luce dell’analisi dell’inchiesta a carico di alcuni esponenti della famiglia Moccia, finiti nel mirino per la storia della gestione dei depositi di carburanti a regime fiscale vantaggioso. Milioni di euro, l’accusa di accordi in stile camorristico tra la presunta consorteria di Afragola, cosche calabre, finanche contatti con il mondo patinato che ruota attorno alla cantante Ana Bettz (al secolo Anna Bettozzi), finita nelle indagini per i presunti rapporti con i Moccia. Ottava sezione penale, sentiamo come si esprimono i giudici Antonio Pepe (presidente del collegio), Chiara Di Benedetto e Alessandra Maddalena: parlano di volti puliti, di professionisti al soldo di operazioni opache, di strategie votate al riciclaggio. In diciassette pagine, la conferma delle accuse a carico di professionisti incensurati del calibro di Claudio Abbondandolo e Gabriele Coppeta, nel corso delle indagini condotte dalla Dda di Napoli (pm Ida Teresi, sotto il coordinamento dello stesso procuratore Gianni Melillo).

Scrivono i giudici: «Per penetrare nelle attività economiche e proliferare ed espandersi con attività di riciclaggio e reimpiego di capitali di provenienza illecita, il clan ha chiaramente bisogno di figure professionali - che naturalmente perseguono anche un interesse personale di guadagno - ed è comunque significativo che, tra le fatture prodotte dalla difesa, non ve ne sia nessuna intestata ad Antonio Moccia, a conferma del suo ruolo di dominus occulto dell’attività». 

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Una vicenda che riconduce l’attenzione ad alcuni incontri avvenuti all’interno di uno studio di commercialista - siamo al Vomero - nel tentativo di definire l’acquisizione di un capannone industriale utile per il traffico di carburanti. Seduti attorno allo stesso tavolo, sempre per motivi di affari, ci sono professionisti e consulenti, in una scena che viene cristallizzata dall’attività di intercettazione firmata dalla Dda di Napoli (al lavoro su questa vicenda anche le Procure di Roma e di Catanzaro). Cosa accade in quell’incontro di lavoro? Viene captata anche la voce di Antonio Moccia, a dimostrazione - secondo gli investigatori - dell’abbraccio tra mondi diversi. Borghesia e camorra? Difeso dal penalista Gennaro Lepre, il commercialista Abbondandolo si dice convinto della possibilità di dimostrare la correttezza della propria condotta nel corso del procedimento che lo vede coinvolto. Resta l’istantanea scattata dalla Dda e confermata (almeno in sede cautelare) dalle parole dei giudici, anche alla luce delle accuse firmate nel 2020 da alcuni pentiti: «Che parlano del ruolo di “intermediazione” tra il (presunto) capoclan e il mondo imprenditoriale (al netto del ruolo di consulenti nel campo fiscale)». Uno scenario che riassume l’analisi condotta dal pool anticamorra anche in altre indagini, anche in altri contesti territoriali. Stesso discorso a leggere le indagini della Dda di Napoli in altri contesti. Secondigliano, Arenella, interessi nel campo sanitario, nella ristorazione, nel mondo alberghiero, c’è sempre la mano di professionisti esterni al circuito criminale. Scrivono ancora i giudici, a proposito del ruolo di un consulente finanziario: «L’indagato era ben consapevole di favorire gli interessi economici di un potente consesso camorristico e di rischiare, per questo, di essere coinvolto in inchieste giudiziarie». 

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