Covid a Napoli, il paziente zero: «Sono guarito ma porto ancora addosso le cicatrici»

Covid a Napoli, il paziente zero: «Sono guarito ma porto ancora addosso le cicatrici»
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 6 Novembre 2020, 08:30 - Ultimo agg. 12:19
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Nove mesi dopo, come si sente il paziente zero napoletano?
«Fortunatamente meglio. Ho ripreso a lavorare ormai da tempo, ho recuperato le forze, ho una vita normale, anche se resto cauto, perché purtroppo segni e cicatrici della malattia ci sono e resto vulnerabile».

Ha le idee chiare, F.G., avvocato cinquantenne, il primo caso di contagio da coronavirus a Napoli. Di fronte alla nuova ondata che coinvolge migliaia di campani al giorno, invita tutti a una riflessione: «Massimo rigore per i cittadini, per evitare la diffusione del contagio, usando mascherine e rispettando le regole; ma anche massima chiarezza delle istituzioni che hanno il compito di tutelare la collettività. Oggi sono guarito, anche grazie alla terapia del professor Giuseppe Fiorentino, ma guai ad abbassare la guardia. Lo dico a me e tutti i miei concittadini».

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Avvocato, lei è stato il primo napoletano a contagiarsi in modo ufficiale, è guarito dopo tanti sacrifici e sofferenza (oltre un mese in ospedale), come commenta quanto sta accadendo in questi giorni in Campania?
«Continuo a vedere attorno a me troppo lassismo e indifferenza.

Purtroppo c'è chi assume sempre lo stesso atteggiamento, pensando che queste scene di sofferenza a cui assistiamo grazie ai media siano sempre qualcosa di altro rispetto alla nostra vita. Non è così. È un male subdolo, non è uno scherzo, provoca segni indelebili. Ho fatto una terapia lunghissima, mi hanno detto che sono guarito, ma ancora oggi se faccio un respiro profondo posso avvertire una fitta all'altezza dei polmoni. Guai a sottovalutare, guai a ripetere errori commessi anche di recente». 

A cosa fa riferimento?
«Penso a questa estate. Quando siamo usciti dal primo lockdown, abbiamo pensato che la malattia se ne andasse definitivamente in vacanza. E invece è rimasta in giro. C'erano delle disposizioni ma non sono state rispettate: penso agli assembramenti sulle spiagge, ai bar, ai ristoranti, senza plexiglass e senza il distanziamento di un metro da un tavolo all'altro; penso ai viaggi all'estero, alle discoteche, insomma, a una buona dose di insofferenza verso i sacrifici fatti da medici, sanitari, forze dell'ordine, malati e dai cittadini che hanno rispettato le regole».

Insomma, tutta colpa dei cittadini indisciplinati?
«Non ho detto questo. C'è anche l'incapacità di far rispettare le regole. Vedo in giro persone senza mascherina o con mascherine logore e abbassate: così non si pone un freno al contagio. A tutti dà fastidio uscire con il volto travisato dalla mascherina, ma è un sacrificio minimo rispetto a quello di chi ora si trova in un ospedale come paziente o come militare arruolato contro il contagio. E non ce l'ho solo con chi si mostra insofferente alle regole, ma anche con chi le regole non le fa rispettare».

A cosa si riferisce?
«Le forze dell'ordine dovrebbero essere più rigorose, ci vogliono più multe verso chi non usa la mascherina o non rispetta le regole. Recentemente un ormai ex cliente mi ha revocato l'incarico perché gli ho chiesto di venire allo studio con la mascherina. Abbiamo rinunciato a un incarico (e di questi tempi non lo fai a cuor leggero) pur di difendere un principio: le regole si rispettano, i sacrifici - quando c'è un'emergenza nazionale - devono essere collettivi, esattamente come è capitato ai nostri genitori e ai nostri nonni. Da avvocato sono arrivato addirittura a pensare che sia necessario eliminare il diritto di fare ricorso a chi prende una multa perché non voleva usare la mascherina (ovviamente al netto di problemi respiratori o difficoltà contingenti e imprevedibili)».

Veniamo alle istituzioni, quali sono le sue riserve?
«Sindaci, Regione e Governo devono collaborare a favore della collettività. Sembra banale, ma è questo il loro dovere. Penso a quanto costano tamponi e screening fatti privatamente, ma anche quanto pesa su un bilancio familiare tutto il kit della sopravvivenza fatto di gel, mascherine che vanno cambiate in continuazione».

Proviamo a fare due conti.
«Appunto facciamo i conti: se una famiglia di quattro persone deve procedere al tampone o al sierologico arriva a spendere fino a 500 euro in una sola volta. Ed è possibile chiedere uno sforzo del genere a chi è alle prese con la cassa integrazione (che non arriva puntuale) o con lo stallo economico delle proprie attività? Altra questione riguarda invece la storia delle mascherine: ricordate all'inizio? La Regione ne mandò qualcuna nelle nostre case, ma da allora che è successo? Tutti sanno che una mascherina chirurgica va cambiata anche due o tre volte al giorno (ogni quattro ore), mentre la Ffp2, più resistente, costa di più. La domanda che mi pongo è questa: possibile che in una famiglia media, ogni settimana, si devono spendere fino a quaranta euro tra gel, mascherine, alcol? È giusto chiedere sacrifici a una popolazione già stressata da mesi di crisi economica? Purtroppo con questi presupposti non sarà semplice contrastare il virus nei mesi che ci separano dall'arrivo del vaccino. Lo ripeto: occorre un patto tra cittadini comuni e istituzioni, nessuno si senta fuori pericolo o deresponsabilizzato».

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