Coronavirus, il napoletano Mele: «L'oblio per 45 giorni, ma a 74 anni ho vinto la battaglia»

Coronavirus, il napoletano Mele: «L'oblio per 45 giorni, ma a 74 anni ho vinto la battaglia»
di Ettore Mautone
Domenica 14 Giugno 2020, 09:25
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Sopravvissuto al Coronavirus: uno degli ultimi dimessi dalla rianimazione del Cotugno dove è rimasto intubato per settimane sprofondato in un luogo sconosciuto infestato da incubi ma da cui è risorto dopo 40 giorni di purgatorio. Quella che raccontiamo è una storia a lieto fine: Salvatore Mele, 74 anni, pensionato, ex giardiniere, dipendente del Comune di Napoli. Una moglie, tre figli di cui i due maschi entrambi vigili del fuoco e la passione per la maratona. Nel reparto per intensivi del Cotugno Salvatore ha compiuto la più ardua e faticosa delle sue corse. «I primi sintomi dell'infezione - racconta - risalgono alla fine di marzo. Io e mia moglie avevamo la febbre io anche una tosse tremenda. Per due volte andammo al Cotugno per il tampone ma ogni volta che arrivavo in ospedale ero sfebbrato. I miei figli decisero di acquistare un saturimetro ma non si trovava in nessuna farmacia. Poi in un paesino vicino Ottaviano trovarono l'apparecchietto. Al ritorno a casa subito misurarono la saturazione d'ossigeno ed era molto bassa. Chiamammo il 118. Abito a Piscinola, salii sull'ambulanza con le mie gambe. In 10 minuti arrivammo al Cotugno. Spalancarono il portellone 10 minuti e poi il buio. Non ricordo più nulla. Era il 27 marzo, mi sono risvegliato il 5 maggio».

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LA GUARIGIONE
Adesso Salvatore sta bene. Dopo due settimane in reparto è migliorato costantemente fino alle dimissioni a fine maggio. Poi altre due settimane di quarantena a casa e nei giorni scorsi i primi passi all'aria aperta. «Sto bene - continua - in ospedale ho fatto la cyclette. Mi è servito per tornare in forma. Ero debolissimo ma ora con mia moglie ho percorso un chilometro a piedi il primo giorno e due il secondo. Con la stessa macchinetta che comprarono i miei figli continuo a misurare l'ossigeno nel sangue ogni mattina. Sono un sopravvissuto». Durante la sedazione, da intubato, Salvatore ha sempre sognato, ha avuto molti incubi che racconta con lucidità: «Incubi dell'orrore, ho sognato che mi avevano sparato e fatto l'autopsia. Giacevo nelle celle frigorifero dell'ospedale ma mio figlio non era convinto per cui mi hanno fatto un secondo esame necroscopico finendomi di squartare prima di ritornare nelle celle frigorifero. Poi volavo tra montagne verdi e grandi valli. Vedevo il volto dei Santi. Poi in un altro sogno abitavo in un luogo mai visto prima ed ero preoccupato per un mio figlio che credevo avesse perso il lavoro. Quando mi sono svegliato credevo che fosse tutto vero. A rassicurarmi è stata mia figlia al telefono, appena ne ho avuto uno. Sono stato da solo in una stanza di 4 metri per 4 senza tv e senza vedere nessuno per settimane. È stata dura. Il tempo scandito dalle terapie. Quando ho parlato con mia moglie per la prima volta le ho chiesto che giorno fosse. Non credevo fosse passato tutto quel tempo».

UN LUNGO BLACK OUT
Un lungo black-out durato quasi un mese e mezzo per Salvatore che adesso esce e cammina per le strade della città. Salvatore pensa di essersi salvato perché da 30 anni non fuma più, forse perché è un ex maratoneta. «Non so - avverte - di certo gli infermieri mi dicevano che altri nella mia situazione non l'hanno superata. Stavo proprio male e sono vivo per un pelo. Ho fatto sogni tremendi, sono vivo e ringrazio il cielo. Ho cercato di resistere, ero debolissimo». All'uscita dal Cotugno una grande festa e una sorpresa: 20 o 30 persone tra familiari e amici a dargli il bentornato a casa, con i palloncini. «Sono salvo, mi sento vivo e mi piace camminare al sole di giugno».
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