Discarica via Brecce a Napoli, la rivolta dei cittadini: «Noi avvelenati dai rifiuti», la rivolta di via Brecce

Discarica via Brecce a Napoli, la rivolta dei cittadini: «Noi avvelenati dai rifiuti», la rivolta di via Brecce
di Daniela De Crescenzo
Giovedì 24 Ottobre 2019, 07:30 - Ultimo agg. 11:32
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«Il sindaco De Magistris ha dichiarato di essere solidale con noi. Bene. Questo è il foglio con i turni di stasera, mi mancano persone da mezzanotte in poi. Io sono inchiodato davanti al sito di stoccaggio di via delle Brecce da 52 ore per evitare che arrivino a sversare altri camion carichi di spazzatura. Sono stanco, distrutto, ma deciso a non mollare. Venga lui, il primo cittadino, a darmi il cambio»: Raffaele Finelli agita il foglio dove sono annotate le presenze divise per fasce orarie. Con lui, intorno al tavolo nel gazebo improvvisato, mamme arrivate dopo aver portato i figli a scuola, uomini anziani con il volto coperto dalla mascherina «per respirare meno veleni», ragazzi con jeans strappati. Tutti insieme. Mamme e figli, nonne e nipoti le aspettano da luglio. Per ora non sono arrivate.
 


Via delle Brecce, qui dove è stato organizzato il deposito dei rifiuti, è conosciuta da sempre come la via delle raffinerie. I serbatoi sono ancora lo sfondo di un panorama a metà tra una periferia urbana e un incubo da day after. La puzza è compagna di sempre per chi abita da queste parti. L'odore del petrolio, dei gas che bruciavano nelle raffinerie ha impregnato le case e l'asfalto. La bonifica dei siti inquinati che distano poche centinaia di metri è meno di una chimera. In compenso sono arrivati i rifiuti.
 
Il sito è stato inaugurato sul finire dell'amministrazione Iervolino ed è sempre stato malvisto dalla popolazione. Ma la protesta vera è scoppiata questa estate, quando le difficoltà ad esportare dell'umido ha fatto accumulare duemila tonnellate di rifiuti puzzolenti che hanno appestato da Vigliena fino a Poggioreale. Appena le mamme si sono viste costrette a mandare i bambini in strada con la mascherina sono nati i comitati e poi i drappelli e i gazebo.

I risultati, in questo caso, sono arrivati. All'interno della vecchia fabbrica è già stata svuotata una piazzola. Sull'altra, invece, restano diverse tonnellate di rifiuti provenienti dai cassonetti. Per avvicinarsi sono necessarie le coperture delle scarpe o gli stivali, ma liberarsi delle mosche è assolutamente impossibile. Gli insetti volteggiano sui cumuli in compagnia di centinaia di gabbiani e a tentare di coprire il cattivo odore c'è un profumo lanciato da tre cannoni, che non migliora, però, la situazione. Quando arrivano i camion i manifestanti chiedono di aprire i portelloni per controllare che entrino vuoti ed escano pieni e da giorni ormai non passa nemmeno un sacchetto. Ieri però è anche spuntata una tartaruga morta.

I compattatori più piccoli, che fino a due settimane fa venivano a scaricare i rifiuti per farli caricare su camion più grandi e ritornare in strada, adesso sono spariti. Sono in coda davanti ai tritovagliatori di Giugliano e Caivano dove restano ore e ore in attesa di scaricare. La raccolta di conseguenza rallenta e in città i contenitori traboccano. «Ma la responsabilità non è nostra chiarisce Salvatore Fragalà i disagi vanno addebitati a chi ha pensato di organizzare questo sistema sbagliato».

Un sistema fondato sostanzialmente sull'esportazione della spazzatura e soprattutto dell'umido proveniente dalla raccolta differenziata: quando questa estate gli impianti del Nord hanno cominciato a rimandare indietro i carichi giudicandoli troppo impuri i dirigenti di Asìa hanno chiesto ai dipendenti di separare manualmente la spazzatura ed è scoppiato l'inferno. I lavoratori, guidati dai sindacati, si sono rifiutati di assolvere alla nuova incombenza e l'azienda ha deciso di appaltarla a due cooperative esterne , Ambiente Sociale e Unione riciclo sociale. Pochi giorni e il web è stato invaso dai video degli immigrati immersi nei rifiuti. Ma Antonio Capace, amministratore della coop Ambiente sociale spiega: «Su diciassette lavoratori due sono immigrati residenti da anni in Italia e da anni applichiamo a tutti il contratto. Certo è che il lavoro è infame e ha scatenato reazioni e proteste. Un clamore mediatico che ha lasciato, però, insoluto il problema di fondo: i comitati chiedono che il sito venga bonificato e chiuso definitivamente.

L'assessore all'ambiente Raffaele Del Giudice ha le idee chiare: «L'ex Icm è un sito polivalente e deve essere usato a supporto delle isole ecologiche».
Una mediazione non condivisa (almeno per ora) dai manifestanti che ieri hanno portato la protesta in piazza Municipio srotolando due striscioni. Su uno era scritto: «C'è chi discarica la sua onestà avvelenando la città». E sull'altro: «Chiudiamo il sito di stoccaggio di via Brecce».

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