Fase 2 a Napoli, è caos sicurezza al Comune: mancano gel e mascherine e i dipendenti restano a casa

Fase 2 a Napoli, è caos sicurezza al Comune: mancano gel e mascherine e i dipendenti restano a casa
di Valerio Esca
Martedì 19 Maggio 2020, 10:00
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La città è ripartita, ma la metà dei dipendenti comunali resta a casa. Mancano i dispositivi di protezione individuale: mascherine, gel igienizzante, guanti in nitrile, visiere, camici, termoscanner, schermi in plexiglass, per non parlare di quei materiali che non dovrebbero mancare mai, come il sapone e i rotoloni. A rischio alcuni servizi essenziali, mentre altri vanno avanti con il freno a mano tirato. Ieri ci si aspettava il ritorno al lavoro per più di mille dipendenti del Comune di Napoli, sui duemila che risultano «personale in disponibilità» (mille sono del settore scuola: maestre, educatrici, bidelli). Tutte categorie A e B: autisti, giardinieri, fognatori, operai manutentori, addetti ad alcuni servizi di front-office. Restano invece in smart working altri 1900 comunali. A poche ore dalla ripartenza del Paese, tra giovedì e venerdì, il Comune di Napoli ha approvato una doppia delibera, una con la quale si invitano i lavoratori in disponibilità, tra cui anche i 260 Lsu, a tornare in attività; l'altra riguarda l'adozione del protocollo per i comportamenti da seguire nei luoghi di lavoro. Chi dovrebbe assumersi la responsabilità di richiamare in sede i dipendenti dell'ente, senza potergli fornire i dispositivi per lavorare in sicurezza? I dirigenti dei servizi. L'amministrazione ha infatti individuato nei dirigenti del Comune la figura del «datore di lavoro».
 

 

Una decisione che ha aperto un contenzioso con i dirigenti del Municipio che, oltre a «riservarsi di attivare i propri uffici legali per la problematica relativa alla corretta individuazione del datore di lavoro», chiedono all'ente «che tutti i servizi siano messi in condizione di rispettare il protocollo di sicurezza, con relativa fornitura di tutti i dpi e delle modalità di igienizzazione e sanificazione». Perché i dirigenti non possono essere considerati datori di lavoro? «Abbiamo la gestione del personale - chiariscono - ma non la gestione economica». Potrebbe apparire come una questione di lana caprina, ma non lo è. La legge individua nel datore di lavoro la responsabilità penale e civile in caso di contagio mentre si è in servizio. Ed è un rischio che nessuno vuole assumersi.
 

Le linee guida in delibera prevedono: favorire una modalità di ingresso, uscita e pause scaglionate; differenziare, laddove possibile, i punti di ingresso nelle strutture; installare barriere in plexiglass, schermi protettivi per le postazioni a contatto con l'utenza; incentivare l'utilizzo di scale e non degli ascensori. Dovranno inoltre essere puliti, con acqua e detergente, tutti i giorni e al cambio turno, gli ambienti di lavoro, aree comuni di ristoro, servizi igienici e spogliatoi; veicoli destinati al trasporto merci e auto di servizio; ascensori; postazioni di lavoro promiscue. Palazzo San Giacomo, proprio in mancanza dei dpi, ha avviato nei giorni scorsi una procedura aperta, per la fornitura di mascherine e materiali di protezione: la presentazione delle offerte è fissata alle 12 del 5 giugno. Con il rischio, tra aggiudicazione della gara e fornitura dei dispositivi, di arrivare a luglio, senza che i dipendenti possano essere riforniti dei dpi.
 
 

Intanto a Palazzo San Giacomo nelle ultime ore è esploso un caso. Lo hanno sollevato i segretari dei comparti funzione pubblica di Cisl, Uil e Csa (Anselmi, De Bisogno e Pinto). Una assistente sociale della decima Municipalità (Fuorigrotta-Bagnoli), moglie di un dirigente della Città metropolitana, è stata assegnata, secondo i sindacati in maniera impropria, al servizio Pari opportunità e Giovani, con compiti amministrativi: «Lo avevamo preannunciato il 9 maggio - scrivono i tre sindacalisti - che avrebbero trasferito un'unità di assistente sociale, dalla decima Municipalità, per sistemarla con compiti amministrativi presso l'ufficio che smista le telefonate alle associazioni che trattano casi di violenza sulle donne.
Trattasi della moglie - tuonano Cisl, Uil e Csa - di un dirigente della Città metropolitana, attivo nel mondo della politica (pare vicino al M5S), già trasferita su richiesta da Secondigliano a Fuorigrotta nei mesi passati». L'assegnazione al servizio è avvenuta tramite un interpello durato poche ore, sul quale Cisl, Uil e Csa, alzano un polverone e annunciano: «Senza la revoca di questo trasferimento sarà mobilitazione e assemblea con blocco del servizio».

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