Giustizia, effetto Cartabia: «Nessun giudice penale vuole la Corte di Appello a Napoli»

Giustizia, effetto Cartabia: «Nessun giudice penale vuole la Corte di Appello a Napoli»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 11 Ottobre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 12 Ottobre, 08:59
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Nessuno vuole fare il giudice penale a Napoli. O meglio: nessuno vuole fare il giudice in Corte di appello (parliamo sempre del penale, sia chiaro), qui nel distretto partenopeo. E quella che era una meta ambita - il ruolo di giudice in uno dei collegi ai piani alti del Palazzo di giustizia -, svolta di una carriera di magistrato (con tanto di centralità nella dialettica dei processi più in vista a Napoli), oggi diventa una sponda da scartare, anzi da evitare fino alla fine.

Colpa del carico di lavoro in quello che ormai da tempo viene definito l'imbuto, il collo stretto della giustizia, probabile effetto della cosiddetta riforma Cartabia, a partire da una considerazione immediata: se c'è un termine perentorio che fa scadere il processo, sarà molto più frequente il ricorso in appello, con l'inevitabile carico di stress per chi si vede arrivare sulla scrivania e in aula un processo che sta per essere dichiarato non più procedibile a stretto giro. 

Un caso, quello napoletano, che conviene raccontare dalla fine, a partire da quanto avvenuto negli ultimi giorni: 11 posti liberi messi a concorso dal presidente di Corte di appello Giuseppe De Carolis, una sola domanda pervenuta.

Dieci buchi in un organico già di per sè ristretto e in affanno. Tradotto: nessuno vuole fare il giudice in appello a Napoli, c'è una fuga dai piani alti, quelli del collo di bottiglia. E un rischio paralisi che potrebbe vanificare lo sforzo fatto durante le indagini preliminari e nel corso del primo grado di giudizio.

Ma proviamo a ragionare con i numeri e con le riflessioni dello stesso presidente De Carolis: «In questi mesi ho messo a concorso 17 posti, di cui 11 al penale. Vuole sapere qual è l'esito? Mi è giunta una domanda da parte di una collega di Santa Maria Capua Vetere, che - meritoriamente - ha chiesto di venire a lavorare nel mio ufficio. Per il resto, niente. Zero. E non è la prima volta che accade, dal momento che in due anni, questo sarà il terzo o quarto bando che metto a concorso. Sempre con lo stesso risultato. Consideri che c'è poi chi ogni anno esce perché va in Cassazione, la fortuna è che sono riuscito a coprire i posti nel civile». 

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Ma come spiega questa fuga dall'Appello? «È un problema che riguarda soprattutto il penale. Vede, in primo grado ci sono 240 magistrati penali in tutto il distretto che scrivono sentenze. Processi che vengono appellati e che arrivano da noi, ai 39 giudici di secondo grado. Il rapporto è quindi di uno a cinque, che non incoraggia certo a presentare domanda al mio ufficio. Nel penale, si sa - continua il presidente De Carolis - si appella quasi tutto, a differenza del civile, mentre la riforma Cartabia spinge sempre più in questa direzione». In che senso? «Stabilendo dei limiti di procedibilità, impone una accelerata, destinata a riverberarsi soprattutto sui nostri uffici. In sintesi, tutti faranno appello sperando nell'implosione del processo perché - una volta decorso il tempo - sarà diventato improcedibile».

Riserve critiche ai piani alti del Palazzo di giustizia anche per quanto riguarda la costruzione del cosiddetto ufficio del processo, una sorta di gabinetto giuridico che deve aiutare la corte o il magistrato monocratico nella definizione della sentenza. Ragioniamo ancora una volta sulla scorta dei numeri: nel distretto sono arrivati 956 funzionari dell'ufficio del processo, ma solo 168 sono gli addetti alla corte di appello. Numeri che raccontano uno sbilanciamento, che sembra destinato - anche quando l'ufficio sarà a regime - a non migliorare la storia del collo di bottiglia. Numeri che confermano le riflessioni fatte al Mattino dallo stesso presidente De Carolis: «Una volta il Csm faceva trasferimenti d'ufficio o era naturale che i più anziani andassero in appello. Oggi non si avverte più questa prospettiva di carriera, anche perché non siamo sede disagiata, quindi non ci sono prospettive economiche più allettanti. Quali soluzioni adottare a stretto giro? Vado avanti con le applicazioni da altri uffici, ma si tratta di soluzioni tampone, bisogna investire per incoraggiare i colleghi a fare domanda per venire a lavorare qui a Napoli». 

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