Napoli, istigò la ragazza al suicidio:
ex fidanzato sarà processato

Napoli, istigò la ragazza al suicidio: ex fidanzato sarà processato
di Viviana Lanza
Mercoledì 8 Marzo 2017, 08:34 - Ultimo agg. 08:36
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L'avrebbe umiliata, maltrattata e istigata al suicidio. Con questa accusa Mario Perrotta, 33enne del Vomero, è stato rinviato a giudizio nel processo che dovrà fare chiarezza sul retroscena della morte della fidanzata. Lui nega tutto ed è pronto a sostenere la propria innocenza anche davanti ai giudici della Corte d'assise davanti ai quali tra un mese inizierà il processo. Per il giudice Anna Laura Alfano, che ieri ha celebrato l'udienza preliminare, il caso merita un approfondimento dibattimentale. La vicenda è quella che quasi due anni fa sconvolse il quartiere Arenella. Era il 19 agosto del 2015 quando Arianna Flagiello si lanciò dal balcone al quarto pianto della casa in via Montedonzelli.

Per l'accusa (l'inchiesta è stata coordinata dal pm Lucio Giugliano), Arianna si diede la morte al culmine dell'ennesima lite con il fidanzato, esasperata dalle umiliazioni e dalle offese di lui. Dalle indagini e dalle testimonianze di chi frequentava la coppia sarebbero emerse «reiterate condotte di maltrattamento». Mario avrebbe picchiato Arianna «in privato ma spesso anche in pubblico» e «alla presenza di amici la umiliava e la offendeva». Gli vengono contestati anche comportamenti aggressivi: «calci, pizzichi, tirate di capelli, buffetti, ecc». In questo modo avrebbe ridotto Arianna «in stato di soggezione completa» e l'avrebbe indotta a «procurargli denaro per soddisfare i propri desideri nonché le esigenze economiche della propria famiglia di origine».

Eccolo ricostruito il reato di maltrattamenti. Arianna e Mario, fidanzati da 12 anni, da due convivevano. Nella coppia, secondo le testimonianze agli atti, era Mario l'elemento forte anche se era Arianna a portare a casa lo stipendio, lei che poteva contare su un impiego stabile mentre lui si arrangiava con lavori sempre precari. Quel 19 agosto di due anni fa Arianna si allontanò dall'ufficio dicendo che sarebbe rientrata a breve. Tornò a casa. Alcuni familiari hanno raccontato che alla madre confidò di essere preoccupata che Mario si fosse arrabbiato perché non aveva trovato soldi sul conto. Seguì una discussione che i vicini confermarono, ricordando di aver udito urla.

Mario trascinò per un braccio Arianna al piano di sopra dove vivevano insieme e dopo poco Arianna si lanciò dal balcone e morì. Nel capo di imputazione si fa riferimento a quell'ultima lite tra i due, con Arianna che avrebbe urlato «Mario, se continui così mi butto dal balcone» e lui che avrebbe risposto «Stavolta non ti butti tu, ti butto io». Di qui l'ipotesi di istigazione al suicidio. Accusa che Mario Perrotta respinge fermamente. La sua difesa (avvocati Gandolfo Geraci e Sergio Pisani) la contestano anche in punto di diritto, ritenendo che manchi l'elemento della prevedibilità del suicidio che configura il reato.

«Il suicidio fu un fatto eccezionale e imprevedibile, non v'è prova che sia stato la conseguenza, prevedibile in concreto, della condotta posta in essere dall'autore del reato di maltrattamenti», ha dichiarato l'avvocato Pisani. La difesa ha ipotizzato anche l'ipotesi di un gesto dimostrativo che Arianna non sarebbe riuscita a controllare, precipitando nel vuoto. Un ematoma trovato sul cadavere della donna, precedente alla caduta e compatibile con botte più che con altro, innescò sin da subito i sospetti al centro delle indagini. Dal 19 aprile tutto sarà al vaglio dei giudici della terza sezione della Corte d'Assise. I genitori di Arianna, Nello e Angiola, e la sorella Valentina saranno parte civile, rappresentati dagli avvocati Pasquale Coppola e Marco Imbimbo. Al loro fianco ci sarà anche l'associazione «Salute donna» rappresentata dall'avvocato Giovanna Cacciapuoti.