Napoli, il dramma di Giovanna: «Non mi fanno lavorare perché ho il volto malato»

Napoli, il dramma di Giovanna: «Non mi fanno lavorare perché ho il volto malato»
di Antonio Menna
Venerdì 21 Maggio 2021, 08:35 - Ultimo agg. 18:49
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«L'ultima volta che ho portato il curriculum in un negozio mi hanno detto che non possono mettere a contatto con il pubblico una persona col viso deformato. La gente si spaventa. Quindi per una come me non c'è futuro? Non ho speranza? Che dovrei fare? Mettermi un velo o sparire?».


Le domande di Giovanna Mauriello, 29 anni, di Casoria, sono colpi di coltello. Le fa a sé stessa, con una voce che impasta delusione e rabbia, ma sembra domandarlo al mondo. Accanto a lei c'è la mamma, Tonia De Luca, che la sostiene, la incoraggia, la difende in questa battaglia. «Che devono fare questi ragazzi? si domanda anche lei -. Un giorno noi genitori non ci saremo più. Devono potersi costruire un futuro da soli oppure no? Gli dobbiamo negare il diritto a un lavoro perché hanno un problema?».

Il problema di Giovanna raccolto e raccontato da La Radiazza di Gianni Simioli e Francesco Borrelli - è una forma antipatica di neurofibromatosi acuta che le impedisce praticamente l'uso di un occhio e dà al suo viso una forma irregolare, con macchie visibili anche in altre parti del corpo. È un problema fisico serio, una malattia, che l'ha portata nelle categorie protette e a un sussidio di 297 euro al mese.

Insufficienti per vivere, ovviamente. Inevitabile mettersi a caccia di una occupazione, come tanti giovani, con le difficoltà che esistono per tutti. Ma per la ragazza, con un problema in più.


Da quanto tempo è alla ricerca di una occupazione, Giovanna?
«Da quando mi sono diplomata. Da allora, non sono mai riuscita a fare nemmeno un giorno di lavoro. Ho terminato le scuole superiori, dopo cinque anni di studio, con un diploma in Grafica pubblicitaria e marketing con il punteggio di 89/100. Ho le competenze per lavorare nella grafica professionale, ho continuato anche a formarmi. Ma non sono mai riuscita a trovare una opportunità, né nel mio settore né in altri».


Con quali modalità ha cercato lavoro?
«In tutti i modi. Ho inviato centinaia di volte il curriculum, a cui ovviamente allego una foto molto chiara perché voglio che il tutto sia noto, senza sorprese. Io mi presento per come sono e la gente mi deve accettare così, senza inganno. Ho anche girato direttamente e personalmente per aziende, attività, mostrando chi sono e sperando di essere valutata per le mie qualità, per il mio potenziale».


E invece che è successo?
«È successo che ho trovato solo porte chiuse. I più gentili mi dicono di no, aggiungendo che cercano persone con esperienze di lavoro. Ma l'esperienza come si fa se non cominci? Nessuno ha esperienze prima di farle. Quindi non mi pare una grande motivazione. Qualcun altro dice sbrigativamente che sono al completo, che c'è la crisi, che il lavoro non si trova, eccetera».


Ma c'è anche chi è stato più brutale.
«Sì, qualcuno alla fine è stato sincero e gli è uscita di bocca la verità. Mi ha detto che con questo aspetto esteriore, con questo volto in particolare, non ho nessuna speranza. La società dà più importanza all'estetica, alla presenza, che ai valori e alle qualità e io allora sono fuori gioco. Nessuno si chiede se sono una persona capace, competente, motivata, che ha voglia di fare. Nessuno si chiede se sono onesta, leale. Cioè tutte le caratteristiche che dovrebbe avere un lavoratore. Mi guardano in faccia e dicono no, non se ne parla proprio. Ma io non sto chiedendo di fare la modella, dove giustamente l'aspetto estetico conta. Sto chiedendo di lavorare».


Farebbe solo la grafica pubblicitaria o anche qualche altro lavoro?
«Io sono disposta anche a fare altri lavori: ho chiesto nei supermercati, nei negozi, come commessa, come magazziniera, magari per il tempo necessario a comprare alcune attrezzature informatiche per la mia specializzazione come grafica. Ma niente. C'è una chiara discriminazione. Non possono mettersi accanto una persona con un viso deformato».


Frasi, parole e giudizi che la feriscono molto, immagino.
«In verità non più. Non voglio dire che ci sono abituata. Ma diciamo che con l'amore della famiglia, di pochi amici, sono riuscita ormai a mettere da parte il disagio psicologico. A scuola mi chiamavano la bambola assassina, la bambina dell'esorcista. Ho subito atti di bullismo che a raccontarli oggi uno si impressiona. Figuriamoci se mi spaventano i giudizi estetici. Sono allenata agli sguardi e alle osservazioni e sono andata oltre. Non ho problemi, sono pronta a stare in mezzo agli altri. Ma i problemi sembrano averli gli altri».


Se dovesse fare un appello a un imprenditore cosa gli direbbe?
«Gli direi che sono una ragazza come tutte e che cerco solo un lavoro per realizzarmi come persona e nella vita. Gli direi di darmi una opportunità, di mettermi alla prova. E di giudicarmi poi per le cose che so fare o non so fare, per l'attaccamento al lavoro, per l'onestà, per la creatività. Gli direi di andare oltre l'aspetto estetico, di non discriminare una persona per come appare. La situazione non riguarda solo me. Tutta l'area della disabilità impatta spesso con questi problemi. Ma chi ha una malattia, chi ha una disabilità, che deve fare? E' così impresentabile per questa società? Abbiamo diritto a un futuro anche noi».


Lei ce l'ha un sogno per la sua vita?
«Io sogno un lavoro. Voglio costruire la mia autonomia, fare strada alla mia personalità. I sogni arrivano così, uno dopo l'altro. Senza un lavoro non riesco neppure a immaginare il domani. Come tutte le persone, invece, ne ho diritto. Ho diritto al futuro».
 

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